Il vice ministro Morando: «Subito giù le tasse nella manovra»

Lunedì 22 Agosto 2016 di Andrea Bassi
Il vice ministro Morando: «Subito giù le tasse nella manovra»
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Vice ministro Enrico Morando, in questo dibattito estivo sulla prossima manovra l’impressione è che l’elenco delle misure sia lungo, dalle pensioni ai contratti fino agli investimenti, e la coperta molto corta. Dal discorso è completamente uscito di scena il taglio dell’Irpef. Possiamo dire addio alla riduzione delle tasse?
«Noi abbiamo fatto della riduzione delle tasse sul lavoro e sull’impresa la priorità della politica fiscale. Questo per una ragione molto precisa, nota a tutti quelli che fanno comparazioni internazionali e che si occupano di competitività dei sistemi economici: la pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa in Italia è molto più elevata di quella degli altri grandi paesi europei, e in particolare è più elevata di quella della Germania, che è il primo paese manifatturiero in Europa mentre noi siamo il secondo». 

Siamo meno competitivi, è noto.
«Esatto. E lo siamo perché le nostre imprese e i nostri lavoratori ricevono dallo Stato una penalizzazione così grave in termini di pressione fiscale. Da parte dello Stato c’è la costruzione di un vero e proprio handicap nella corsa che ogni giorno le nostre imprese e i nostri lavoratori devono fare per battere i loro concorrenti nella manifattura. Diverse misure in questa direzione sono già state prese».

 

Il vice presidente della Camera, il grillino Luigi Di Maio dice che le tasse non le avete abbassate, che Renzi racconta “balle”?
«È Di Maio che racconta balle. Noi abbiamo fatto gli 80 euro per i lavoratori dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e un salario inferiore a 26 mila euro. Questa prima misura è costata 10 miliardi di euro. La seconda misura, molto incidente sul bilancio, è stata quella di abolire dalla base imponibile Irap la componente del costo del lavoro. È costata 4,5 miliardi di euro quando l’abbiamo fatta e oggi, a causa dell’aumento del numero dei contratti di lavoro a tempo indeterminato, questa misura costa 5 miliardi di euro. Dal primo gennaio del 2017 è già stato deciso con una legge dello Stato, cioè con la legge di Stabilità dello scorso anno, che l’aliquota Ires si ridurrà di tre punti e mezzo, portandola al di sotto della media europea. Un’altra misura che a regime costa 3,5 miliardi di euro e che riguarda la riduzione della pressione fiscale sul lavoro e sulle imprese. Vorrei sapere da Di Maio se queste sono balle oppure se sono cose scritte nelle leggi dello Stato».

Oltre a questi interventi che sono strutturali, tuttavia, ce ne sono anche alcuni che scadono, come la decontribuzione per i neo assunti. 
«È un tema a mio avviso centrale. La decontribuzione per i neo assunti nel 2015 è stata una misura molto forte che ha avuto effetti importanti. Nel 2016 è stata rinnovata anche se con un’incidenza inferiore. Ora la questione aperta è se si possa continuare con questi interventi non strutturali, o se si siano create le condizioni, come io ritengo si siano create, per decidere adesso anche in chiave pluriennale, una misura di tipo strutturale che riduca la pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa in modo permanente per dare certezza. Dovremmo fare come per l’Ires, inserire subito nella manovra le misure anche se poi entrerebbero in vigore nel 2018. Perché oggi tutto ci parla, compreso l’andamento del prodotto interno lordo dell’ultimo trimestre, del problema creato dall’aumento dell’incertezza, che è il nemico fondamentale della crescita». 

Questa misura strutturale quale dovrebbe essere, il taglio delle aliquote Irpef o la riduzione del cuneo fiscale?
«A lume verrebbe da dire che la misura più efficace sarebbe la fiscalizzazione di parte dei contributi sociali. L’effetto sarebbe analogo a quello dell’Irpef, farebbe comunque aumentare le buste paga. Il risultato per il lavoratore sarebbe lo stesso. In quota parte il beneficio dovrebbe andare anche alle imprese, con una riduzione del costo previdenziale a loro carico».

Varrebbe per tutti i tipi di contratto?
«No, solo per quelli a tempo indeterminato. Dobbiamo mantenere la promessa che in prospettiva il ricorso al lavoro stabile deve diventare permanentemente più vantaggioso per l’impresa del lavoro instabile». 

È un’alternativa all’Irpef?
«Certo. Se invece di fare questo si interviene sulle aliquote Irpef si ottiene lo stesso risultato. Sostanzialmente gli oneri per lo Stato sarebbero gli stessi e anche i vantaggi per i lavoratori. Si vedrà tecnicamente quale intervento sarà considerato migliore». 

Lei dice che bisognerebbe decidere adesso per il 2018 come fatto per l’Ires. Non c’è nessuna possibilità di anticipare al 2017?
«Se, nel momento in cui si decide la soluzione a regime per il 2018, ci fossero le condizioni per anticipare al 2017 almeno parte dell’intervento sarebbe un fatto positivo perché darebbe forza all’intervento».

Quante risorse servono per un intervento che abbia qualche impatto?
«È un intervento molto costoso».

Rifaccio la domanda. Di quanto dovremmo ridurre la pressione su lavoro e imprese per pareggiare i conti con la Germania?
«Di un po’ più di due punti di Pil. Fino ad oggi ne abbiamo fatto già uno, certo l’obiettivo rimane lontano ma aver fatto in due anni metà della strada è il segno che raggiungerlo è possibile». 

 

Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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