Veneto Banca, congelato il bond il governo scongiura il fallimento

Sabato 17 Giugno 2017 di Roberta Amoruso
Veneto Banca, congelato il bond il governo scongiura il fallimento
ROMA Stop temporaneo al rimborso del bond di Veneto Banca. A deciderlo non è il cda di Montebelluna, ma un decreto approvato ieri dal Consiglio dei ministri. La proroga si applica «esclusivamente ai titoli in scadenza nei sei mesi successivi alla richiesta di intervento dello Stato e fino al termine di sei mesi». Un passo obbligato la discesa in campo del governo in vista della soluzione ancora in corso di negoziato con le autorità europee per il salvataggio di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza. Proprio così.

La scadenza del bond subordinato (un decennale lower Tier II) emesso per un importo nominale di 150 milioni di euro (l'oustanding è di 86 milioni) era prevista per il 21 giugno. Ma vista la situazione era difficile arrivare in pochi giorni a una soluzione per il salvataggio delle due banche. C'è ancora bisogno di tempo. E dunque l'unica via per congelare il rimborso del bond sul tavolo era quella del decreto del governo.

Del resto, una sospensione del pagamento delle obbligazioni così strutturata, spiegano fonti legali, non costituirebbe un evento di default visto che non arriva da una decisione della banca ma dalla mossa di un'autorità terza nell'ambito di un negoziato su aiuti di Stato. Così si evita nello stesso tempo la strada del rimborso. Altrettanto rischiosa perché poteva creare problemi legali per il cda dell'istituto in vista di un burden sharing che coinvolgerebbe gli altri subordinati. In altre parole, un eventuale rimborso delle obbligazioni nella situazione della banca avrebbe potuto ledere la par condicio creditorum. Il punto è che nonostante le rassicurazioni arrivate da più parti per una chiusura in tempi brevi del dossier del salvataggio, la strada sembra ancora in salita. Va avanti infatti la caccia ai capitali privati aggiuntivi per 1,25 miliardi chiesti dalla Ue per il via libera alla ricapitalizzazione precauzionale (parte del piano per coprire una carenza di capitale da 6,4 miliardi). Ma l'obiettivo sembra ancora lontano. E questo per la mancanza di un consenso generale di sistema.

LA CACCIA ALLE RISORSE
Mercoledì scorso il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, oltre a escludere il bail-in ha chiarito che un intervento di sistema ha natura volontaria e non può essere un'iniziativa pubblica. Unicredit e Intesa Sanpaolo sono in prima linea, seppure a condizioni precise, per mettere sul tavolo fino a 300 milioni a testa. Ma questo non basta. L'esecutivo punta a coinvolgere anche altre banche italiane in maniera proporzionale e ridurre la richiesta Ue. Eppure, tranne qualche apertura di disponibilità a partecipare solo nell'ambito di un intervento di sistema, come quelle di Banca Mediolanum, Unipol Banca e Poste Italiane, c'è un clima di freddezza da parte di istituti come Ubi, Banco Bpm, Cariparma. Dunque, manca «il consenso di sistema» che serve. Anche perché, si dice, non c'è neanche la certezza che le stesse autorità Ue non finiscano per chiedere altri apporti di capitale. Di qui le perplessità tra le banche piccole, ma anche i paletti delle due banche leader in Italia a un salvataggio dai contorni ancora troppo poco chiari.

L'alternativa? In realtà il piano di fusione tra le due banche venete in questa fase non è ben visto dalla Bce e ciò, secondo qualcuno, potrebbe aprire la strada all'acquisto da parte di Intesa e Unicredit di una banca a testa sulla falsariga di quanto accaduto in Spagna con la risoluzione del Banco Popular, acquistato dal Santander per un euro. Un'ipotesi, quest'ultima, esclusa con forza dalle due banche, che guardano alla logica industriale troppo debole di un'eventuale doppia acquisizione.
Ultimo aggiornamento: 15:10