Ma la Ue non vuole fare sconti: la correzione resti a 3,4 miliardi

Martedì 28 Marzo 2017 di Alessandro Cardini
Ma la Ue non vuole fare sconti: la correzione resti a 3,4 miliardi
BRUXELLES A palazzo Berlaymont, dove ha sede la Commissione, si guarda con una certa trepidazione alla discussione in corso nel Pd sui conti pubblici. È chiaro che non piacciono le bordate dell'ex premier Renzi sulla manovra da 3,4 miliardi: non si vede, infatti, come sia possibile evitare un aggiustamento anche dal lato delle entrate. Dopo lo stop di Renzi all'aumento delle accise sui carburanti non è chiaro come sarà recuperato il miliardo originariamente previsto dal Tesoro.

In ogni caso, sia il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis sia il responsabile degli affari economici Pierre Moscovici non si muovono da quella che qualcuno comincia a chiamare la «trincea» dello 0,2%. Nelle ultime uscite pubbliche, il primo ha ribadito che Bruxelles si aspetta che la manovra di aggiustamento dei conti, per evitare la procedura di infrazione a causa della violazione della regola del debito, «sia approvata entro aprile». Precisando che il ministro dell'economia Pier Carlo Padoan ha assicurato che «l'Italia non farà passi indietro». Anche se i vertici del Pd indicano la necessità che il Tesoro recuperi «visione politica» (così si è espresso il presidente Orfini) fa testo ciò che dice Padoan. Moscovici si è detto fiducioso che una «soluzione si troverà», poi ha aggiunto: «Con una procedura l'Italia scivolerebbe ai margini della zona euro».

I NUMERI
Alla Commissione, in ogni caso, sanno benissimo che il calendario lascia ampio spazio a una soluzione che appiani le cose: la manovra di 0,2% del pil sarà presentata al massimo qualche giorno dopo il 10 aprile, quando sarà pubblicato il Documento di economia e finanza. Ben prima cioè del 30 aprile, giorno in cui ci saranno le primarie per la segreteria del Pd cui è legato il destino politico di Renzi. Nessuno a Palazzo Berlaymont entra pubblicamente nel merito della composizione della manovra, certo la sua dimensione non è negoziabile: la Commissione la considera un intervento già abbondantemente scontato rispetto a quanto l'Italia dovrebbe garantire per essere pienamente in linea con il patto di stabilità. Né, a quanto risulta, l'eventuale correzione al rialzo della previsione di crescita per un decimo di punto percentuale quest'anno implicherebbe una riduzione dell'aggiustamento perché quest'ultimo è in termini strutturali e in ogni caso l'incidenza di un leggerissimo aumento di crescita (finora prevista all'1% quest'anno) non farebbe una grande differenza. Non solo: la manovra da 3,4 miliardi è necessaria anche per disinnescare il rischio che una parte della flessibilità concessa per il 2016 venga «ritirata». Infatti, tra le condizioni per ottenerla c'era anche la certezza di un taglio strutturale del deficit negli anni successivi (già è dubbio che la clausola degli investimenti sia stata rispettata).

A Bruxelles, poi, ci si interroga su ciò che avverrà dopo la manovra. La vera sfida è quella dell'autunno quando l'Italia dovrà preparare il bilancio 2018 tra disinnesco delle clausole di salvaguardia per 19,6 miliardi (aumento di Iva e accise) e interventi espansivi. Il premier Gentiloni ha già messo le mani avanti affermando ieri che «da qui all'autunno la discussione con Bruxelles sarà aperta e potrà produrre risultati» sapendo che i vincoli europei ci sono ma che non vanno considerati «intoccabili». Parole più morbide di quelle di Renzi, ma che indicano come il caso non si chiuderà con la manovra da 3,4 miliardi. Qualche giorno fa Moscovici aveva indicato che «nel 2018 l'Italia dovrà andare avanti con misure strutturali». Se si voterà davvero in primavera, la finanziaria 2018 risentirà degli interessi elettorali, dunque sarà più difficile proseguire con le misure strutturali evocate da Moscovici per mantenere l'impegno al quasi pareggio nel 2019. E nel 2018 l'aiuto monetario della Bce comincerà, sia pur, lentamente ad affievolirsi.
 
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