Quando l’Italia inverte la rotta

Giovedì 28 Luglio 2016 di Osvaldo De Paolini
Sul made in Italy finito in mani straniere si sono scritte molte pagine negli ultimi anni. E il dibattito tra chi plaude a queste cessioni quale segnale dell’Italia che attrae e chi invece vede in esse una spia di debolezza dell’imprenditoria italiana costretta a vendere le eccellenze di casa per mancanza di capitali, ha spesso portato a distorcere il concetto di italianità relegandolo alla categoria dei campanilismi fuori d’epoca.

Ebbene, per una volta questo scambio decisamente infruttuoso dovrà cedere il passo ad altre considerazioni: la due operazioni verso la Francia annunciate ieri - il Gruppo Caltagirone che entra in forze nel capitale del colosso Suez diventandone terzo azionista e il Gruppo Atlantia che si assicura il controllo dell’Aeroporto di Nizza - interrompono di prepotenza una serie che si stava allungando pericolosamente, e che solo due giorni fa ha vissuto il momento forse più malinconico con l’addio all’Italia degli Agnelli per effetto del completamento dell’operazione espatrio della loro filiera strategica. Poche settimane prima, Pininfarina era passata agli indiani di Mahindra, preceduta di pochi mesi da Italcementi ceduta ai tedeschi del gruppo Heidelbergcement e, ancor prima, da Pirelli finita sotto le insegne della cinese ChemChina.

L’elenco potrebbe continuare a lungo, con la vendita di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda alla giapponese Hitachi, mentre la famiglia Benetton ha trasferito World Duty Free alla svizzera Dufry e i Merloni la gloriosa Indesit all’americana Whirpool. Scendendo per li rami giungiamo a Edison, scivolata a rate nel portafoglio della francese Edf. Per non parlare di Telecom Italia, ora controllata da Vivendi; o di Omnitel, passata a Vodafone; o di Parmalat acquistata dalla francese Lactalis. E che dire della vera e propria razzia nel mondo del lusso realizzata dal gruppo francese Louis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) che in meno di dieci anni si è assicurato Fendi, Pucci, Bulgari, Loro Piana e persino la storica pasticceria milanese Cova, un must assoluto di via Montenapoleone?

Secondo uno studio elaborato da Eurispes, il numero dei marchi del made in Italy che hanno cambiato proprietario negli ultimi quindici anni non è lontano da 450. Per questo i due vessilli tricolore piantati ieri in terra di Francia suonano come la campana del riscatto, non tanto quale gesto di orgoglioso nazionalismo ma come prova che in Italia non mancano i capitali quando esistono volontà imprenditoriali autentiche e manager visionari capaci di ragionare in grande. Sia Suez che l’Aeroporto di Nizza sono, ciascuno per la propria dimensione e la propria missione, aziende strategiche con prospettive di crescita che ogni analista può facilmente apprezzare. Il fatto poi che due gruppi italiani abbiano avuto la meglio su altri competitor - già era accaduto un paio di giorni fa con Caltagirone che attraverso Cementir ha riportato in Italia il controllo di Italcementi Belgio - la dice lunga sulla nostra capacità di gareggiare e vincere. Sia chiaro, non c’è nulla di criticabile nel voler monetizzare un patrimonio aziendale che si crede maturo, ma ha certamente assai più valore la scommessa imprenditoriale di nuova crescita giocata dentro e fuori i confini nazionali.

 
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