Carlo De Benedetti lascia Gedi, il figlio Marco verso la presidenza

Giovedì 22 Giugno 2017
Carlo De Benedetti lascia Gedi, il figlio Marco verso la presidenza
Carlo De Benedetti durante cinquanta dei suoi ottantatre anni, ha segnato la storia imprenditoriale italiana, iscrivendosi tra gli uomini d'affari più influenti del Paese, fino al grande passo di lasciare la guida del gruppo editoriale Gedi nato dalla fusione del gruppo L'Espresso con La Stampa di John Elkann e Carlo Perrone al figlio Marco. L'ingegnere lascia così l'ultimo incarico che detiene nel gruppo dopo aver già trasferito il controllo ai suoi tre figli, Marco, Rodolfo e Edoardo quattro anni fa. Secondo quanto si è appreso, il nome di Marco potrebbe essere proposto in un Cda straordinario dal fratello maggiore Rodolfo che presiede la controllante Cir ed è azionista di riferimento del gruppo Gedi.

In ambienti del gruppo si fa notare che questo passaggio completerebbe il ricambio generazionale in atto da anni anche nelle altre società del gruppo. Proprio ieri l'ingegnere aveva tirato le conclusioni del convegno 'The future of the newspaper' che ha visto a confronto a Torino i maggiori player del settore con un discorso nel quale ha lanciato l'idea degli stati generali dell'editoria. «Non vogliamo aiuti di Stato nè sovvenzioni, vogliamo cercare il modo per rimanere remunerativi perchè se muore l'editoria, non muore solo un settore industriale: muore una funzione essenziale dei sistemi democratici», ha detto Benedetti concludendo l'incontro a Torino sul futuro dei giornali. L'Ingegnere, chiamato così per il suo titolo di studio, non è identificabile però con un solo settore, perchè è stato l'Olivetti, la telefonia mobile con Omnitel quando questa era ancora avanguardia, ma anche l'industria tradizionale con la componentistica auto e quella dell'era internet con le varie attività avviate negli anni Novanta fino all'ingresso nell'energia. L'avventura editoriale è però centrale nella sua vita, tanto che nel 2009, quando decide di lasciare tutte le cariche delle sue imprese, consegnandole in mano ai figli, mantiene comunque un ruolo, anche formale, nel Gruppo Espresso e assicura che quell'attività non sarà dismessa almeno fino a quando rimarrà in vita.

Nato torinese, è naturalizzato svizzero: oltreconfine si trasferisce con la famiglia durante le leggi razziali (il padre era ebreo) e, quando decide di prendere la seconda cittadinanza, è accusato di farlo per ragioni fiscali, circostanza da lui sempre negata. Il debutto professionale avviene nel 1959 nell'azienda paterna, quando la Compagnia Italiana Tubi Metallici Flessibili. Impresa valorizzata fino all'acquisizione nel 1972 della Gilardini, che De Benedetti guida fino al '76 come presidente e amministratore delegato. Proprio in quell'anno diventa amministratore delegato della Fiat anche grazie all'appoggio di Umberto Agnelli. Una esperienza di soli quattro mesi, un rapido divorzio che sorprende e attira su di lui ancora di più l'attenzione del mondo economico. Con la vendita della sua quota in Fiat, avuta in cambio del conferimento della Gilardini nel gruppo torinese, emerge quello che sarà poi il cuore finanziario del suo impero, la Cir (Compagnie Industriali Riunite), di cui assume il controllo nel novembre del 1976. Gli investimenti della compagnia si diversificano rapidamente: ad esempio con la Sasib e l'Euromobiliare, una delle grandi finanziarie italiane. In quegli anni l'Ingegnere lega il suo destino a quello dell'Olivetti, una delle imprese italiane più conosciute nel mondo, diventandone nel 1983 presidente e amministratore delegato.

Non tutte le sue iniziative hanno successo: entra in Buitoni-Perugina e contratta nel 1985 con Romano Prodi l'acquisto dall'Iri del gruppo alimentare Sme.
L'affare viene bloccato dalle forze politiche e sfuma. Guai arrivano anche per il rapido passaggio nel Banco Ambrosiano di Calvi. De Benedetti apporta capitali e viene nominato vicepresidente nel novembre 1981: dopo pochi mesi cede la sua quota ed esce. Anni dopo questo passaggio gli sarà imputato in sede giudiziaria, dopo il crack del vecchio Ambrosiano. Altro epico scontro è quello legato alla guerra di Segrate per il controllo della Mondadori, scoppiata nel 1991 e spiegatasi anche nelle aule dei tribunali. Un conflitto che porta al riconoscimento del maxi-risarcimento di 500 milioni di euro alla Cir. Da quella guerra nasce la spartizione che segna la storia dell'editoria italiana con il Gruppo Espresso nelle mani di De Benedetti e la Mondadori nell'orbita di Berlusconi. Tra i suoi celebri giudizi sferzanti, ultimo quello su Donald Trump, aprendo i lavori della Repubblica delle Idee: «Tra la crisi dell'Europa e gli Usa di Trump mi preoccupa molto di più l'America: Trump - ha detto nei giorni scorsi - è un pazzo furioso che, in un mondo che cerca di integrarsi, proclama autonomia degli Stati Uniti. Come ha detto la Merkel, essendo gli Usa così isolazionisti, ora il futuro dell'Europa è sempre di più nelle nostre mani».
Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 15:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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