Brexit, il prezzo per Londra: sterlina svalutata e Pil giù

Domenica 19 Giugno 2016 di Oscar Giannino
Brexit, il prezzo per Londra: sterlina svalutata e Pil giù

Come influirà l'assassinio della parlamentare laburista Jo Cox da parte di uno squilibrato nazionalista sul referendum britannico per uscire dall'Unione? L'impatto è sicuramente enorme. Il Regno Unito, dopo Cromwell e tranne la lunga vicenda del terrorismo nazionalista irlandese, non regola i conti della politica col sangue, a differenza di quanto troppe volte è avvenuto nell'Europa continentale. Vedremo il 23 giugno se nell'Inghilterra profonda la conseguenza sarà il no a un'uscita, la Brexit, che nei sondaggi fino al 15 giorni era ormai in testa.
Ieri Mario Monti alla Stampa ha dichiarato che il referendum britannico del 23 giugno è un disastro, non solo perché voluto dal premier conservatore Cameron per rafforzare la sua leadership interna, ma soprattutto perché manda all'aria decenni di paziente tessitura europea da parte di statisti e governi. E' un punto di vista singolare. L'integrazione europea è lenta e ha moltissimi difetti sempre più evidenti in questi anni di crisi, basta pensare all'incapacità di una vera comune politica dell'immigrazione. Ma proprio per questo o l'Europa è un grande principio capace di generare benefici e i politici sanno spiegarlo agli elettori, appellandosi ai loro portafogli e alle loro teste ma anche ai loro cuori e alla loro emotività; oppure se perdono nei referendum si deve al fatto che quei benefici o non sono abbastanza forti, o i politici non sanno spiegarli. La Thatcher ripeté per anni ai britannici che la Ue era conveniente a Londra per il mercato unico, e che Londra non avrebbe mai comunque abdicato ai suoi princìpi. E' andata proprio così, ed è per questo che Londra ha goduto e gode di un'amplissima lista di opting out finanziari e in materia di legislazione e diritti- a favore della propria sovranità.

LO SCENARIO
Che cosa avverrà se i britannici comunque sceglieranno di uscire? Formalmente, il referendum è consultivo. Ma Londra non è Roma, dove la politica dalla Rai al finanziamento dei partiti ha aggirato anche referendum abrogativi vincolanti. A Londra è fuori discussione che, se vince Brexit, il governo dovrà presentare al Consiglio Europeo una richiesta formale secondo le procedure fissate dall'articolo 50 del Trattato europeo. A farlo non sarebbe un governo Cameron, perché il premier pro Ue dovrebbe dimettersi, sostituto da un altro del suo partito, visto che sono 53 i parlamentari Tories per l'uscita con 5 ministri, guidati dal combattivissimo segretario alla Giustizia Michael Gove. A quel punto, il Consiglio europeo sarebbe chiamato a votare all'unanimità le linee guida del negoziato che la Commissione Europea dovrebbe aprire con Londra per l'uscita dalla Ue. Un negoziato di due anni, ulteriormente protraibili. L'accordo finale andrebbe votato nel Consiglio Europeo da una maggioranza qualificata (20 dei 27 paesi membri restanti, rappresentanti almeno il 65% della popolazione Ue). E andrebbe approvato poi dal Parlamento Europeo, a maggioranza semplice. Durante tutto questo periodo, Londra dovrebbe comunque continuare a rispettare i Trattati europei.

IL NEGOZIATO
A fianco di questo accordo di separazione partirebbe poi il negoziato sulle future relazioni tra Regno Unito e Ue. L'unico precedente, non di uno Stato membro della Ue ma di un territorio che ne è uscito, è quello della Groenlandia territorio atlantico della Danimarca - che votò in referendum l'uscita nel 1982. E la piccola Groenlandia impiegò più di tre anni per negoziare il suo nuovo status rispetto alla CEE. Londra si troverebbe a dover dire se preferisca negoziare un accordo con la Ue come membro della EEA, l'area economica europea alla quale appartengono Norvegia, Islanda e Liechtenstein, per i quali valgono moltissime delle regole del Mercato Unico dei beni e dei servizi della Ue. O se invece, con un rapporto più lasco, negoziarlo come membro dell'EFTA, l'area europea di libero commercio, similarmente alla Svizzera. La Svizzera ha impiegato 30 anni, per sottoscrivere con la Ue le 155 intese bilaterali che ne disciplinano i rapporti. La Svizzera aderisce però anche agli accordi sulla libertà delle persone di Schengen, l'esatto opposto di quanto vuole chi nel Regno Unito vuole uscire dalla Ue.
Il governo tedesco ha già dichiarato che, in caso di Brexit, Berlino negherà l'accesso ai benefici del mercato unico: Londra potrebbe trovarsi a dover negoziare daccapo un accordo sui dazi con la Ue che copra tutti i prodotti industriali ma non quelli dell'agricoltura, servizi e gare per forniture pubbliche, come quello vigente con la Turchia. In ogni caso, l'argomento usato dal fronte Brexit usciamo dalla Ue per liberarci dagli standard dei burocrati di Bruxelles sui nostri prodotti è vero neanche a metà. Liberissimi di stabilirne altri: ma a quel punto non potrebbero venderli in area Ue, verso la quale attualmente è rivolto il 46% dell'intero export britannico.

 
In caso di Brexit la sterlina dovrebbe svalutare, secondo il più degli analisti, fino a un ulteriore 15-20%. Ma il traino a favore dell'export sarebbe breve e problematico, visto che molti prodotti dovrebbero reindirizzarsi verso mercati extra-Ue. Un impatto ancor più negativo maggiore avverrebbe sul cuore dell'economia britannica, che non è la manifattura ma il settore dei servizi che pesa per il 78% del PIL. E in particolare su quelli finanziari, che contribuiscono da soli a quasi il 10% del PIL. Molti headquarters di banche europee risposterebbero nei propri paesi le attività oggi insediate a Londra. Salterebbe automaticamente la facoltà che era stata concessa nel 2015 di far permanere nel Regno Unito le stanze di compensazione delle operazioni denominate in euro. La frenata di banche e finanza si estenderebbe ai servizi professionali e di consulenza. E avrebbe un grande impatto anche sui prezzi immobiliari, che a Londra sono di nuovo in bolla ma che muovono molta economia reale.
E' vero, Bank of England riattiverebbe massicciamente il proprio QE, ha già fatto capire il suo attuale governatore, Carney. Ma ciò non basterebbe a evitare una considerevole frenata dell'attuale crescita. Comparando le stime negative per il PIL britannico in caso di Brexit, per la London School of Economics vede una forbice da -2,2% negli anni a seguire in caso di intese rapide con la Ue, fino a meno 6,5%-9% in caso di grandi o grandissime complicazioni. La CBI, la Confindustria britannica, stima la minor crescita tra -4% e -5%. Ovviamente sono valutazioni respinte dal fronte Brexit: per l'UKIP di Farage restare nella Ue costa a UK addirittura il 10% del PIL ogni anno.

IL NODO-TASSI
Ma con Brexit le conseguenze non sarebbero affatto solo britanniche. Per la Ue, bisogna fare due distinti ragionamenti. Il primo è quello dei paesi più direttamente esposti, cioè quelli che hanno un maggior flusso con UK di scambi commerciali, flussi migratori, investimenti diretti reciproci, e interrelazioni bancarie dirette. Sommando i quattro fattori, mentre con Brexit l'Irlanda Lussemburgo Cipro e Olanda rischiano tra l'1 e il 2% del proprio PIL, la Germania si ferma a meno di mezzo punto e l'Italia è in coda tra i paesi meno esposti, per qualche minima frazione di punto.

Cosa diversa è immaginare invece che riparta, come effetto dell'indebolimento complessivo della Ue, il ballo dello spread. In quel caso la BCE dovrebbe ulteriormente accrescere i suoi 80 miliardi di euro mensili di acquisti sul mercato, ma non ci possiamo illudere: come testimoniato dalle massicce perdite della Borsa nostrana nelle ultime settimane, l'Italia è il paese dell'euroarea dopo la Grecia sulla quale i mercati si accaniscono di più, per effetto del nostro alto debito pubblico e della montagna di crediti deteriorati delle banche nostrane. Quanto più in altri paesi europei forze politiche nazionaliste e antieuropee chiedessero referendum analoghi a quello britannico, in caso di Brexit, e quanto più ripartissero istanze autonomiste come quella catalana e scozzese, tanto più i mercati si accanirebbero. A ragione: perché in un tale processo di crisi non è inimmaginabile un punto di rottura, di una duplice struttura Ue-Euro così poco coesa.

Ultimo aggiornamento: 20 Giugno, 14:43

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