Balasso e l’identità: «Esistono mille Veneti ma nessuno è il mio»

Lunedì 3 Ottobre 2016 di Sergio Frigo
Natalino Balasso
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VERONA - Al Premio Masi per la Civiltà Veneta sono... sportivi: dopo aver premiato uno come Andrea Zanzotto, che ricevendo le sue bottiglie di pregiato Amarone nel 2003 disse (scherzando, ma non se ne accorse nessuno) di essere astemio, e aver replicato l’anno scorso un astemio vero come Carlo Rovelli, doveva capitare prima o poi un premiato a cui non potesse fregargli di meno della propria identità regionale. É avvenuto l’altra sera al Teatro Filarmonico con Natalino Balasso, che ha detto, papale papale, di non sentirsi identico nemmeno a se stesso, figurarsi («mi spiace per lui») a Luca Zaia.

Che fosse questa la sua posizione lo si era capito bene, d’altra parte, già nell’intervista da cui è stato tratto il video proiettato durante la cerimonia. Anche se riconosce che la sua matrice culturale è veneta, in particolare la Commedia dell’Arte, quando l’intervistatore gli chiede cosa significa per lui essere un artista veneto, l’artista (che è nato ad Adria ma da quando aveva vent’anni - ora ne ha 55 - vive in Emilia Romagna) risponde così: «Non ne ho la minima idea, anche se non ti piace questa risposta. Io non ho idea onestamente di cosa sia essere un artista veneto, perché non ritengo che oggi ci sia una scuola veneta dell'arte. Credo che oggi ci sia, forse, qualche scuola regionale, ma il Veneto ha avuto una grande scuola di comicità che si è esaurita prima del '900, dopo di che c'è stato qualche exploit, qualche comico bravissimo, tra i migliori d'Italia, tra cui me, però non c'è stata una scuola veneta che ha proseguito».
 
Andrebbe recuperata questa tradizione? insiste l’intervistatore?
«Io non so se esistono tradizioni che vanno recuperate - è la risposta di Balasso - Io credo che la tradizione sia una cosa che si traduce, si tradisce e si tramanda. E la tradizione ha senso quando vive. Quando una vita viene imposta, è artificiale, credo che possa avere successo come no: ridare la vita a dei corpi morti significa dare vita a dei Frankenstein. Sicuramente esistono cose che vengono tramandate, quindi delle tradizioni esistono già e non c'è bisogno di recuperarle. Però siamo nell'era dei social, di internet e della televisione, e qui la tradizione diventa tradimento».

E sulle diversità che coesistono (o si scontrano) all’interno della nostra regione, aggiunge: «Esistono mille Veneti: un Veneto contadino ad esempio che è sparito e che si è trasformato in un Veneto dell'imprenditoria agricola; un Veneto dell'ipocrisia, molto dominante, credo. Il Veneto dell'ipocrisia religiosa, politica, amministrativa. Però esiste anche un Veneto della solidarietà. Non dobbiamo dimenticare che il Veneto è la prima regione in Italia per associazioni di solidarietà. Può essere che questo derivi da un senso di colpa, dovunque ci sia solidarietà può esserci un senso di colpa. Ma non possiamo nasconderci che le sfaccettature di una territorialità sono sempre tantissime ed è sempre un errore identificarle con un unico pensiero dominante».

Personalmente, ricordando i suoi film con Carlo Mazzacurati, dice di «appartenere a un Veneto piuttosto ideale, che c'è nella mia memoria e che non esiste più». E aggiunge anche che a suo parere «non esiste nemmeno la lingua veneta, esistono molte lingue venete, e mi spiace dirlo perché la Regione ha dato tanti soldi per insegnare questa lingua che non esiste. Adesso noi diciamo "la televisiòn, la machina, el giornal"... usiamo le parole dell'italiano troncando la fine, pensando che quello sia la lingua veneta, ma quello non è altro che la lingua italiana venetizzata».

Un fustigatore della sua regione, dunque? «Macchè, io non mi vedo come tale. Io sono uno che non riesce a tollerare l'ipocrisia e quindi se vedo una cosa la dico, non posso farne a meno».
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