Quei soldati che dissero "no" alla guerra, anche buttandosi da Rialto

Giovedì 2 Marzo 2017 di Paolo Navarro Dina
Quei soldati che dissero "no" alla guerra, anche buttandosi da Rialto
Ci sono 221 storie. Tutte cartelle cliniche, tutte diverse, tutte di povera gente che non voleva andare in guerra, che simulava una malattia; che era realmente inadeguato a prendere in mano una baionetta o che per ideali pacifisti non aveva alcuna intenzione di finire in trincea. Ma non solo: tra essi anche chi al fronte c'era andato, era riuscito a salvare la pellaccia mettendo a dura prova il proprio equilibrio psico-fisico. Tutti temporaneamente inadatti: dicitura burocratica che stava ad indicare, al momento, che erano riusciti a venir via dalle terre di combattimento o che l'avevano sfangata, ma solo parzialmente, finendo poi per andare o tornare in ogni modo al fronte. Come una tragica beffa.

Ma fatto salvo i reduci ricoverati provenienti da tutta Italia, da Roma come da Catanzaro, c'è anche chi sarebbe dovuto andare al fronte e ha cercato di evitarlo in ogni modo: chi gettandosi dal Ponte di Rialto facendo credere di essere instabile mentalmente; chi avvicinandosi pericolosamente all'ubriachezza cronica, chi ancora per scelta ideale come il soldato 169, Fedele Zurlo, di Dolo, in provincia di Venezia, assegnato al Battaglione MT, che trova la forza e il coraggio (magari con la mediazione di qualcuno ben acculturato) per mandare all'allora Presidente del Parlamento, Antonio Salandra, una durissima lettera contro il conflitto che imperversava. Siamo nel 1917 e Zurlo scriveva: «Salandra Antonio - diceva - (...) che bel titolo che hai saputo acquistare fra i popoli ignoranti con il tuo amico Sonnino (Sidney Sonnino allora ministro degli Esteri ndr) ma voi siete indegni di avere quella carica perchè voi prima della guerra avete avuto sempre la coscienza di Nerone...».
 
La lettera prosegue con forza concludendo così la sua filippica: «Pensate a quel che voi avete fatto - continua Zurlo - alle povere madri, una piaga insanabile, dei poveri figli che avete rapiti dai propri genitori, che appena di tenera età anche a me mi avete fatto tanto del male; mi avete fatto morire mio padre di dolore dei figli (...) cercate assassini di farla finita».

L'obiettivo della mostra è quello di ridare voce a tanti ragazzi la cui giovinezza venne cancellata scoprendolo attraverso documenti storici, immagini grafiche e produzioni artistiche, e soprattutto con il prezioso materiale dell'Archivio di San Servolo, curato dall'omonimia società che gestisce gli antichi edifici sull'isola. E sarà così un modo per ripercorre la storia della sanità veneziana nel Primo novecento quando l'Ospedale militare cittadino era nell'ex convento di Santa Chiara, negli spazi ora occupati dalla Questura, e poi con l'apertura del Reparto Militare di Osservazione per le malattie nervose e psichiche proprio tra le mura dell'allora Ospedale psichiatrico di San Servolo. «Abbiamo diviso la nostra mostra - spiega il direttore dell'Archivio, Luigi Armiato - in più capitoli: si va dai malati provati dalle vicissitudini del fronte fino ai simulatori, quelli che in tutti i modi non volevano partecipare alla guerra. Sono cartelle mediche e documenti emozionanti. E' stato un lavoro affascinante e molti dei ragazzi del liceo Guggenheim che hanno collaborato con noi per questa operazione, secondo la formula dell'alternanza lavoro, si sono immedesimati in quei soldati ricoverati anche solo perchè loro coetanei».

Si apre domani, 3 marzo, alle 11.30, sull'isola di San Servolo, la mostra Temporaneamente inadatti a cura di Luigi Armiato e Fiora Gaspari, sulle 221 cartelle cliniche di altrettanti militari ricoverati nell'ex Ospedale Psichiatrico, nel periodo tra il febbraio e il novembre del 1917. La mostra, curata anche da Maria Cristina Turola e Lodovico Umberto Tucci, e dagli allievi di tre classi terze del liceo artistico Guggenheim di Venezia, e la partecipazione del comune di Orgosolo (Nu) e dell'associazione L'Aurora Arteterapia e del centro La Ginestra di Ferrara, vuole offrire l'occasione di una riflessione sul periodo da un punto di vista medico e sociale. La mostra resterà aperta fino al 30 marzo, dalle 9 alle 19. Ingresso libero
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