Il punto Dal bianco e nero spuntano
i colori intensi della passione

Sabato 12 Settembre 2015 di Adriano De Grandis
Il punto Dal bianco e nero spuntano i colori intensi della passione
Chi sta in coda di solito non gode di una buona vista e si fa notare poco. Ma ogni tanto accade il contrario. Negli ultimi giorni il Concorso era stato già parzialmente riabilitato con l’arrivo di “11 minut” del polacco Skolimowski, ma nessuno avrebbe creduto che nelle ultime ore, a ridosso della premiazione e con il totoLeone che impazza agli angoli delle pagine dei giornali, del web e delle strade, spuntassero due gioielli finali nell’ultima coppia di film in gara: il documentario cinese “Behemoth ” di Zhao Liang e l’italiano “Per amor vostro” di Giuseppe Gaudino.

Partiamo proprio da quest’ultimo, nettamente il migliore del nostro poker a caccia del Leone.

Siamo a Napoli, dove vive Anna, che trova lavoro come suggeritrice sul set di una fiction tv. Ha tre figli, dei quali il maschio è sordo, e un marito brutale nel giro degli usurai del quartiere. Diciotto anni dopo “Giro di lune”, il regista napoletano torna in concorso a Venezia, con un film stratificato, continuamente spiazzante tra incroci di realtà e sogno, complesso nello stile e nell’uso del colore (dal b/n della realtà, alle sgargianti tonalità della sua fuga), tormentato dalla quotidianità brutale e mitigato dagli slanci che essa comunque propone, di robusto impianto drammatico ma deflagrante nello slittamento del barocco e del kitsch, con una Napoli così trattenuta nei suoi cliché e una Valeria Golino così brava nella variabilità delle sue azioni, a due passi dal Male (gli uomini della sua vita) e a un salto dal Bene (il volo finale). Tra rimandi a tanto cinema nostrano, un’opera viva, ardente, passionale, sincera come poche in Italia, al pari del film postumo di Caligari, passato giorni fa. Candidato senz’altro.



Gran bene si può dire anche di “Behemoth”, il mostro nato nella quinta giornata della Creazione del mondo. Il cinese Zhao Liang ci porta in un angolo della Repubblica a due passi dalla Mongolia, dove confinano paesaggi idilliaci e greggi di pecore con il furore del fuoco e del carbone, le miniere estrattive, infernali alla vista. In un’ora e mezza il regista confeziona un potente poema visivo e visionario, con i soli rumori della vita e del lavoro, portandoci dentro uno spettacolo estremo, in un percorso dantesco (paradiso, purgatorio e inferno, continuamente citati) che va a chiudersi in spettrali carrellate di città fantasma, dai grattacieli coloratissimi, vuote di vita e abbandonate a se stesse. Dalla discesa agli inferi (un piano sequenza che dà l’esatta profondità del sottosuolo) si eleva il grido politico, con quei corpi umiliati dall’esposizione al carbone a quel liquido nero estratto dai polmoni, micidiale come quelle scritte finali che ricordano le centinaia di migliaia di morti per malattie derivate dal lavoro. Peccato solo che Zhao Liang si attardi a qualche impianto surreale di troppo (lo specchio metafisico, il corpo nudo, l’immagine scomposta sullo schermo) e a una voce narrante che non aggiunge nulla a una visione di raro impatto visivo.



Chiude la giornata, fuori concorso, il western contemporaneo “Go with me” (Vieni con me), diretto dallo svedese Daniel Alfredson, con Anthony Hopkins, Julia Stiles e Ray Liotta, dove, tra i boschi del Nord Ovest, una giovane donna è perseguitata da Blackway, ex poliziotto psicopatico e violento. Funziona lo scenario cupo, ma la storia è piuttosto debole e semplice.
Ultimo aggiornamento: 13 Settembre, 11:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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