Liti, guerre e "premi minori", tutte le spine del Campiello

Domenica 20 Novembre 2016 di Sergio Frigo
Liti, guerre e "premi minori", tutte le spine del Campiello
Quando la coperta è corta, persino le coppie più rodate finiscono per litigare: succede anche al Campiello, il premio letterario degli industriali veneti, che da qualche tempo deve fare i conti con la crisi. Fra le ragioni della lite scoppiata nelle scorse settimane tra il presidente uscente della Confindustria regionale, Roberto Zuccato, e il presidente del Comitato di Gestione del Premio, Valentino Vascellari, c'è anche la riduzione del budget complessivo del Premio (ora si aggira fra i 150 e i 200mila euro), e in particolare l'incapacità di Vascellari (stando a Zuccato) di trovare degli sponsor che sopperissero al mancato finanziamento della Popolare Vicentina.

Nella scorsa edizione si sono registrate dunque prima l'eliminazione del gettone per i giurati (erano mille euro), e successivamente una forte riduzione del monte premi, che era fissato da tempo a 60mila euro: a differenza dagli anni scorsi - quando agli scrittori bastava arrivare in finale per guadagnare 10mila euro, mentre il vincitore ne otteneva il doppio - quest'anno il compenso per tutti è stato esattamente dimezzato, ma si sarebbe ridotto a soli  10mila euro per il vincitore e niente per gli altri, se non fosse intervenuto in extremis lo stesso Zuccato recuperando 20mila euro dalle casse di Confindustria Veneto per assicurare un premio di 5mila euro a ognuno dei finalisti.

Ma sul Campiello si erano addensate di recente anche altre nuvole: come il nervosismo della giuria tecnica, palesato già alla selezione a Padova, dove a un verdetto mai così combattuto si erano affiancate le accuse (subito smentite da tutti, peraltro) del nuovo giurato Stefano Zecchi contro il prolungarsi del mandato di alcuni colleghi, l'esistenza di una presunta lobby interna e l'eccesso di libri da leggere; oppure la denuncia di un altro giurato, Ermanno Paccagnini (questa confermata da altri) delle pressioni arrivate dal mondo editoriale per favorire questo o quel candidato. A ciò si sono aggiunte alcune perplessità sulla serata finale, per alcuni lunga e noiosa, per altri - come il vincitore del Premio alla carriera Fernando Camon - disattenta ai libri e sbilanciata sul versante dell'intrattenimento. Ma cosa c'è di vero in tutto questo? E il Campiello mantiene il suo prestigio e la sua influenza?
A sentire i librai, certamente si! Sostiene il loro presidente nazionale, il vicentino Alberto Galla, che i libri della cinquina fanno registrare buoni incrementi di vendita, soprattutto nel Veneto. «Ma potrebbe andare anche meglio se noi librai venissimo coinvolti nell'organizzazione del premio, come abbiamo già proposto: potremmo aiutare l'organizzazione indicando un congruo numero di lettori forti che nelle fasi preliminari potrebbero selezionare i libri da sottoporre alla giuria tecnica, così da migliorare la qualità e alleggerire il compito dei giurati».

Qualche perplessità, invece, Galla ce l'ha nei confronti del moltiplicarsi dei premi minori, che si sono via via affiancati al premio maggiore, rischiando di offuscarlo. «Basterebbe quello dei giovani - osserva Galla - che ha individuato negli anni scorsi dei veri scrittori». Su questo punto concorda anche uno scrittore che al Campiello deve molto, il veneziano Andrea Molesini, che vincendolo al suo debutto, nel 2011 con Non tutti i bastardi sono di Vienna, si è visto dischiudere una prestigiosa letteraria: «Posso capire il premio ai giovani - sostiene - ma tutti gli altri riconoscimenti fanno confusione e rischiano di appannare il premio maggiore, otre ad appesantire la cerimonia finale».

Molesini apprezza invece la formula delle due giurie, quella composita di critici e opinion leader che seleziona la cinquina, e quella popolare e anonima dei lettori, che indica il vincitore: «Questo garantisce l'incertezza della vittoria e consente anche agli outsider, come me al tempo, di avere una chance di successo». Ma vista dal di dentro proprio l'eterogeneità della giuria tecnica ha qualche controindicazione, come sostiene Emanuele Zinato, docente di letteratura all'università di Padova e neo giurato: «Si registra fra noi una certa difficoltà di comunicazione, che riguarda non solo il linguaggio ma gli stessi criteri di valutazione dei libri in gara: la diversità di formazione fra i critici letterari e gli altri giurati è notevole, e si fa sentire, anche se questo garantisce una cinquina variegata». Zinato promuove peraltro l'organizzazione del premio e «la grande autonomia di giudizio che ci è stata assicurata». E le telefonate di raccomandazione dall'esterno «si sono mantenute a livelli fisiologici».

Circa 200 libri da leggere, e neppure un euro di compenso, osserviamo: chi ve lo fa fare?
«I libri si valutano tutti, ma non è che tutti si leggono completamente, a volte basta un carotaggio. Per alcuni di noi magari è un'occasione di visibilità, ma al fondo lo si fa per senso di responsabilità e dedizione al buono stato di quel bene pubblico che è la letteratura».
(1. continua)
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