Aznavour compie 93 anni: «Io romanziere mancato, scrivo solo canzonette»

Lunedì 22 Maggio 2017 di Riccardo De Palo
Aznavour
dal nostro inviato
SAINT-REMY-DE-PROVENCE -  
Nel bistrot gremito di oggetti d’antan Charles Aznavour siede a capotavola, proprio nella piazzetta di Saint-Remy-de-Provence che porta il nome del leggendario chansonnier. Attorno a lui, gli amici di sempre e due grandi orologi bloccati all’ora sbagliata. Come a ricordare che anche per l’autore di Que c’est triste Venise il tempo si è fermato e che non c’è modo di frenare questo piccolo, grande uomo che macina tour mondiali (è appena tornato dal Sud America) e sale sul palco cento volte all’anno. Presto sarà in Italia: il 23 luglio il concerto evento alla cavea dell’Auditorium, a Roma; poi il 13 novembre a Milano, al Teatro Arcimboldi.

A pochi chilometri da qui, il suo buen retiro di Mouriès, in Alta Provenza. La villa Laigo Claro dove ama sostare tra un viaggio e l’altro, con il suo pianoforte a coda, le medaglie, i premi, i regali, i ricordi. E un grande giardino dove troneggiano centinaia di alberi di ulivo. «Lo sa che non avevo mai mangiato il coniglio e lo sa perché? - dice, un po’ stupito nell’apprendere cosa stesse masticando con gusto - Non mangio gli animali che posso prendere in braccio. Una bestia che puoi prendere tra le braccia, è parte della famiglia». Chiede il sale. «Agli armeni piacciono i piatti saporiti - dice sorridendo - ti dicono di non mangiare troppo salato, di evitare zuccheri e grassi. Io faccio tutte e tre le cose e sono arrivato a 93 anni. A furia di dire “non si può”, si muore infelici».

Monsieur Aznavour. Lunedì (oggi, ndr) sarà il suo compleanno.
«È vero, e io sono la dimostrazione che è ancora possibile restare in scena. Sono l’ultimo cantante di questa età nel mondo, oggi. Chi altro c’è? Nessuno. Gli altri sono tutti morti, per le droghe, o per il troppo bere, o che ne so, per il ridere, ma sono morti».

Un bilancio?
«Per me è un trionfo ricordare quei critici che hanno scritto così male di me, che non avrei mai combinato nulla, nella mia giovinezza. Ora mi dico: loro hanno detto tutte queste cose e adesso io sono vivo, e loro sono morti».(Ride)

Lei è un globetrotter. Quante lingue parla?
«Mi spiace non parlare facilmente italiano, perché amo parlare sul palco. Parlo francese e inglese quando sono in scena, ma non in italiano, in spagnolo, neanche in russo e armeno a dire il vero. Cantare è una cosa, ma parlare è un’altra. No, in italiano una parola la dico: “accidenti”. È la mia parola. Voi italiani sapete imprecare senza darci troppa importanza; noi francesi prendiamo le cose troppo sul serio. Quando ho incontrato Putin mi ha parlato in russo, forse voleva dire “come va?” e io che non parlo la lingua gli ho risposto ochenpriakne, inventandomi le parole. Mi diverto molto a dire cose stupide».

Lei ha conosciuto tutti i grandi. Chi manca?
«Ho parlato con leader di ogni genere. Ho posto domande a persone con cui non bisogna farlo, mai. Dove si poteva osare, l’ho fatto. Mi piacerebbe incontrare Papa Francesco, adesso».

La prima canzone che ha scritto, se la ricorda?
«È stato molto curioso. Avevo un partner con il quale cantavo, era un eccellente compositore (Pierre Roche, ndr) e avevamo intorno a noi degli autori molto importanti che dicevano: “ah, ma con voi non guadagneremo mai dei soldi”… Bisognava stregarli con un paio di ritornelli, così è nata J’ai bu. I miei compositori sono stati Roche per cominciare, Becaud per continuare, Garvaentz per terminare, e poi... c’est moi».

Una volta ha scritto che l’attacco di una canzone è decisivo.
«A mio avviso il primo tratto, il primo verso, la prima parola, è molto importante. Tre giorni fa sono stato alla mostra su Picasso di Rabat e ho ritrovato la stessa frase: “il primo passo è il più importante”. Questo vale per qualsiasi mestiere facciamo».

Dopo quel primo passo, le canzoni in Francia non sono state più le stesse. Come ha fatto?
«Ho inventato delle cose che non si facevano. Ho fatto montare proiettori per illuminare la scena. Dal microfono agli abiti, facevo attenzione a ogni dettaglio. I concerti sono cari: bisogna dare molto al pubblico, perché il pubblico dà molto. Non amo gli artisti che non amano gli spettatori, che dicono: questo è un buon pubblico, quest’altro è cattivo. Napoleone diceva che non esistono cattive armate, esistono solo armate generose. Non c’è differenza nel pubblico ma è la disparità nel versare il vino (ride, mostrando il bicchiere vuoto al ristoratore, ndr) che è imperdonabile».

La sua religione?
«L’essere umano. Sono rispettoso di tutte le vere religioni, dell’Islam, dell’ebraismo, del cattolicesimo, del protestantesimo, non delle sette però. Se mio nonno fosse stato musulmano, lo sarei anch’io, se mio padre fosse stato ebreo, lo sarei anche io. Perché battersi per cose inutili?»

Lo sport?
«A me piace il rugby, la mischia. Nel calcio uno subisce un colpo e cade per terra urlando».

Lei ha saputo essere trasgressivo.
«Sono stato il primo a essere bandito dalle radio. Mia moglie diceva sempre: “non puoi dire così in pubblico”. Nell’ultima canzone sull’amore cieco (Des Ténèbre à la lumière), dicevo: “amo l’odore delle tue ascelle”. Mi hanno detto che non si poteva. Eppure in fondo è logico, perché, a parte il senso del tatto, era l’unica cosa che poteva connettere i due amanti. Sono terribilmente logico nella mia maniera di pensare. Non sono un autore di canzoni, sono uno scrittore fallito che è riuscito a fare delle canzoni…»

I suoi scrittori preferiti?
«È una lunga lista, tra i francesi ho cominciato con La Fontaine, Molière, Victor Hugo, poi Céline che mi ha permesso di osare. Nella canzone c’è un prima e un dopo Trenet; nella letteratura c’è un prima e un dopo Céline. Ma ho amato molto anche Cechov. Il primo film che ho fatto era tratto da Cechov».

Il suo regista preferito?
«Ho avuto molti direttori meravigliosi, Duvivier, Truffaut, de la Patellière, ho avuto molte, molte occasioni. Truffaut aveva un senso del dialogo formidabile».

Edith Piaf?
«Ho vissuto con lei, eravamo amici e avevamo molte cose in comune ma non eravamo amanti, questo è importante dirlo».

Ha cantato l’amore tutta la vita.
«Ho cantato la vita, soprattutto. Nella vita c’è anche l’amore, non si può distinguere tra i due. C’è l’amore, ci sono anche le avventure amorose, di breve durata. Per la scrittura tutto è fonte d’ispirazione. Spesso ho preso in prestito per una canzone le frasi delle donne con le quali ho vissuto. Le donne hanno sempre frasi così particolari».
Ultimo aggiornamento: 1 Ottobre, 15:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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