Barbera & Coca Cola: l'America
monopolizza la Mostra di Venezia

Martedì 30 Luglio 2013 di Adriano De Grandis
Il regista Terry Gilliam al Lido
VENEZIA - Probabilmente l’America (intesa come insieme di spazio fisico, esistenziale, culturale) ci ha colonizzato il pensiero, come dice dall’alba della sua creativit, Wim Wenders, aggiungendo giustamente per come sia anche impossibile sottrarsi al fascino che quello "spazio" complessivo esercita su noi europei. Il cinema americano è una delle espressioni più lampanti di questa colonizzazione, sintesi anche di un’evidente controversia (nessuna cinematografia è amata e osteggiata al tempo stesso come quella Usa) ed è ovvio che scorrendo i 20 titoli in concorso scelti dal team di Barbera per "Venezia 70", non può passare inosservato che ben 7 (più di un terzo, quindi) sono di provenienza nativa Usa (poi chiariremo il fattore natività).



Una pattuglia già doppia rispetto a quella italiana, che gioca in casa. Dunque 7 registi nati in America possono mettere le mani sul Leone d’oro, come d’altronde è successo ben 4 volte negli ultimi 8 anni, anche se Ang Lee è di Taiwan e ha vinto incredibilmente due volte quasi di seguito (2005-2007: "Brokeback Mountain" e "Lussuria"). Insomma: altro che Barbera&champagne, qui è Barbera&Coca Cola. In realtà i registi americani sarebbero solo 6 (visto che Terry Gilliam, nato a Minneapolis, ha rinunciato alla cittadinanza dal 2006, diventando solo britannico), ma la produzione del film del "Monty Python" è anglo-americana, così come quella del lavoro del londinese Jonathan Glazer. Se poi si aggiungono un altro paio di film britannici (Frears) e anglo-australiani (Curran, che però è nato negli Usa, e quindi siamo a 7 nativi americani), la lingua ufficiale di Venezia 70 diventa sicuramente l’inglese.



Ora fuori da tutte queste somme aritmetiche (e comunque 5, 6 o 7 che si voglia, sono un esercito), cerchiamo di vedere di cosa sono fatti questi film. L’eclettico James Franco con "Child of God", tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, ci porta dentro una caverna, dove si rifugia un disadattato che chiude ogni dialogo con la società, fino a trasformarsi in un killer; David Gordon Green con "Joe" narra l’incontro decisivo, in un villaggio del Texas, tra un uomo e un ragazzino in difficoltà, in cerca di lavoro; Peter Landesman porta al Lido uno dei film più attesi: "Parkland" è il racconto di quel tragico giorno in cui morì a Dallas JFK e Parkland è l’ospedale dove il presidente Kennedy fu portato dopo l’attentato.



Con Paul Giamatti, Billy Bob Thornton e Zac Efron; Errol Morris porta uno dei due documentari in concorso (novità assoluta): il suo lavoro è un faccia a faccia con Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa americano, al tempo del conflitto iracheno. Titolo: "The unknown known"; Kelly Richardt, che 3 anni fa lasciò un buon ricordo al Lido con "Meek’s Cutoff", torna ora con "Night moves", dove tre ambientalisti vogliono far saltare in aria una diga. Infine ci sono i due cosiddetti spuri. Terry Gilliam si avvale di un cast super (Waltz, Damon, Swinton) per "The zero theorem", storia di rete, hacker e grandi fratelli; e John Curran con "Tracks" affronta il viaggio in solitaria (di ben 2700 km) della scrittrice Robyn Davidson, attraverso l’Australia, in compagnia di quattro cammelli e un cane. Sarà uno di questi il Leone d’oro 2013?
Ultimo aggiornamento: 17:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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