Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Torino 34/5 I figli della notte persi nel buio
Troppe perplessità sul film italiano in gara

Giovedì 24 Novembre 2016

I FIGLI DELLA NOTTE di Andrea De Sica (Concorso)
– Figlio di Manuel e nipote di Vittorio (dal pedigree praticamente imbattibile, quindi), Andrea De Sica porta l’unico film italiano in gara tra le montagne dell’Alto Adige, in un collegio per figli di ricchi industriali, dove Giulio, un ragazzo dal viso angelico, si trova a dover fare i conti con quella che è una prigione di lusso, non esente da pericoli, incubi e desideri. L’esordio esageratamente ambizioso di De Sica, che vorrebbe coniugare Lynch e Bellocchio, Kubrick e film di genere, con un citazionismo che si ferma all’apparenza dell’immagine e che a tratti si fa perfino sfacciato, rincorre il desiderio del romanzo di formazione, senza curarsi tuttavia troppo che la progressione narrativa giustifichi azioni e comportamenti, e soprattutto crei un percorso significativo delle psicologie dei personaggi (si pensi alla “sorprendente” scena finale). Il problema principale è la scrittura che non sorregge un materiale così accatastato di avvenimenti, senza approfondirne sul serio alcuno (la vita del college, il possibile coinvolgimento omosessuale, la capanna del peccato, l’amicizia intima di Giulio con Edoardo, il più audace e misterioso dei compagni). Ma non è l’unica perplessità. Se è lecito ritenere che l’operazione possa essere coraggiosa, nel panorama stagnante italiano, è anche vero che l’azzardo è mal calcolato, con dialoghi didascalici e artefatti, un’interpretazione generale piatta e un situazionismo che si accontenta di un certo esibiziosimo estetico (comunque di una certa qualità). L’assenza dei genitori è chiaramente sintomatica dell’abbandono (della mamma di Giulio arriva soltanto la voce dal cellulare), ma le figure di contorno (compagni, insegnanti, frequentatori di escort) sono piuttosto marginali e fuori fuoco. Insomma è un’opera prima e di questo si tenga conto, ma non si può nemmeno voler scalare subito l’Everest, essendo attrezzati per arrivare soltanto al primo campo base. Voto: 5.
LIVE CARGO di Logan Sandler (Festa mobile)
– In un’isola delle Bahamas, un coppia interazziale cerca di elaborare il lutto del figlio nato morto, ma finisce negli ingranaggi perversi dei padroni della pesca e anche di gelosie inaspettate, mentre la tratta dei migranti haitiani porta ogni giorno a pescare cadaveri in mare. L’abuso di un’estetica esuberante (si pensi all’azzardo riuscito del bianco e nero, in un luogo dove i colori sono fondamentali) rischia di tenere lontana la vera tensione, come il compiacimento del dettaglio; e se la sensualità dei corpi è affascinante, la piega mélo nel finale è quasi fastidiosa. Voto: 6.
FREE STATE OF JONES di Gary Ross (Festa mobile)
– Durante la Guerra Civile Americana, un contadino disertore del Mississippi (Newton Knight), riesce a creare una zona “franca e indipendente”, dove combattere anche il razzismo e scrivere una “costituzione” che renda liberi tutti gli esseri umani. Una pagina storica praticamente sconosciuta diventa qui l’ennesimo oggetto filmico per la lotta civile contro ogni ingiustizia. Un racconto asciutto, con il minimo di retorica possibile e qualche momento di alta intensità e commozione. McConaughey dà la giusta fisicità a un personaggio che ha fatto valere anche la forza politica di una piccola rivoluzione, che nel Sud degli States faticherà ancora a lungo (si veda la nascita del KKK, ancora oggi non del tutto eliminato) a trovare compimento. Voto: 6,5.
LOS DECENTES di Lukas Valenta Rinner (Concorso)
– In una zona residenziale di Baires, circondata e protetta da una recinzione elettrica capace di causare morte, una domestica scopre che al di fuori di tale enclave, un gruppo di persone pratica il nudismo e una filosofia che riporti l’uomo a vivere e rispettare la natura, compresa la sessualità. Una specie di apologo sulla condizione umana e una riflessione sulle contrapposizioni feroci che la civiltà ha prodotto. Troppo schematico e meccanico per creare vero interesse, ha un finale più disperatamente spettacolare (con un’eco anche antononiana) che politico. Voto: 5.
  Ultimo aggiornamento: 16:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA