Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Neruda e Larraín, la lotta al Potere
diventa una fuga tra noir e western

Sabato 15 Ottobre 2016

Prima o poi è un interrogativo che andrà risolto. Non è comprensibile infatti come il più grande cineasta cileno del nuovo millennio e uno dei più importanti giovani registi a livello mondiale trovi puntuale la porta chiusa a una consacrazione doverosa e urgente a un grande festival. Ma a Pablo Larraín Berlino ha negato l’Orso d’oro per “Il club” preferendo l’ennesima sedia vuota di Panahi (per carità: “Taxi” non è certo un brutto film…); Venezia lo ha dimenticato nel palmares ai tempi del magnifico “Post mortem” e un mese fa lo ha beffato con un premio alla sceneggiatura (manco sua) al suo primo film americano (“Jackie”); ma Cannes gli ha addirittura sbarrato sempre l’accesso al concorso e anche alla sezione parallela del Certain regard; per fortuna la Quinzaine (sezione autonoma del festival) l’ha preso per ben tre volte sotto proprio tutela, dove a maggio ha presentato quello che ora è il suo penultimo lavoro: “Neruda”. Davvero: una faccenda terribilmente seccante.
Ovviamente “Neruda” è altro film formidabile, un biopic che rifiuta ogni cliché del genere (e “Jackie”, che uscirà con il nuovo anno, rappresenta la continuazione di questo percorso lucido e coerente), concentrandosi più sul senatore che non sul poeta. Siamo nel 1948. Cile. In Parlamento il comunista Neruda critica con vigore il governo. Il presidente Videla (il fedele attore Alfredo Castro) ne chiede l’arresto, ma Neruda (nella grandiosa, antispettacolare interpretazione di Luis Gnecco) fugge, però senza riuscire a lasciare il Cile. Così sulle sue tracce si mette l’ispettore Peluchonneau.
Larraín offre una rilettura originale della storia personale di un gigante della letteratura, attraverso l’ennesimo scandaglio della vita sociale e politica del Cile, stavolta precedente alla dittatura di Pinochet (che qui appare un istante, in ruolo minore dell’apparato di Potere di allora). “Neruda” diventa così un ulteriore studio profondo e meticoloso sul Potere e della lotta contro di esso. Stavolta Larraín allarga lo sguardo: il conflitto non rimane più solo esterno, ma diventa anche interno con tutti i tormenti e le ambiguità del personaggio dell’ispettore (anche in voice over), ben sorretto dall’interpretazione di Gael Garcia Bernal), compresa la sua ossessione affascinata che lo lega al fuggiasco. L’insieme arriva così a una riflessione esistenziale sulla vita e sugli affetti, sulla parola e sull'arte, sul ruolo di se stessi nel mondo e nelle storie, sull’immagine stessa del Potere, che poi sarà così scopertamente al centro di “Jackie”.
Fondendo realismo e mitologia grazie a un personaggio così stratificato e inafferrabile, entrando a piene mani in atmosfere noir, mélo e addirittura western (fenomenale l’ultima mezzora, luce sempre mirabile di Sergio Armstrong), Larraín si conferma uno dei registi oggi più necessari a farci comprendere come la Storia e il suo riflesso immaginario vivano nella memoria e nella sua rappresentazione. Film enorme, imperdibile.
Stelle: 4 ½


MINE: IL TALENTO ESPLOSIVO VA DOSATO
- Due uomini nel deserto. Uno salta in aria subito su una mina. Il secondo ha appoggiato il piede su un’altra, ma se ne è accorto: ora non lo può più togliere, per non finire a pezzi anche lui. Così attende che qualcuno arrivi ad aiutarlo. Ma non prima di 52 ore.
En plein air a suo modo claustrofobico, controcanto di “Buried” (non caso stessa produzione), che se tiene alta la tensione, non sempre governa il viavai degli altri personaggi, veri o fantasmi, e trasforma un film minimalista in un eccesso di flashback, tormenti, simboli, musiche e ralenti, specie nel debordante finale. Guaglione&Resinaro firmano un film Usa, fatto quasi tutto da italiani (i registi sono milanesi), che la dice lunga su tante cose. Nel loro “Mine” talento ce n’è. Ma bisogna dosarlo. 
Stelle: 2 ½

DEEPWATER: IL CROLLO DEL PETROLIO - La cronaca del disastro di una piattaforma petrolifera al largo del Golfo del Messico, avvenuto nel 2010, nelle mani del muscolare Peter Berg rischiava di diventare un’altra smaccata azione salvifica ed eroica sulla scia di “Lone Survivor”.
Invece “Deepwater – Inferno sull’oceano” sviluppa tensione e furore al punto giusto, riuscendo anche a mettere l’accento su questioni morali, economiche e politiche aziendali, tra il documentaristico e la fiction più sparata. Il film regge anche grazie al cast (Wahlberg, Malkovich e Kurt Russell), però Berg non esagera davvero mai neanche nella deriva sentimentale. Il lato spettacolare non manca, ma al centro rimangono gli uomini. Tra la catastrofe e la retorica, Berg sceglie il suo miglior cinema possibile.
Stelle: 3 Ultimo aggiornamento: 11:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA