Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

I 7 non sono più così magnifici
Ozon, amore guerra e sane bugie

Domenica 25 Settembre 2016

Solo ai titoli di coda, quando irrompe la celeberrima, scalpitante colonna sonora di Elmer Bernstein dell’altrettanto famoso film di John Sturges (1960, già remake di uno dei tanti capolavori di Akira Kurosawa, 1954), l’emozione riesce finalmente a prendere il sopravvento. Certo è legata a un ricordo, ma ci si deve accontentare. “I magnifici sette”, film di chiusura della recente Mostra, non va troppo oltre.
Antoine Fuqua, regista di Pittsburgh, che deve molto alla sua discreta notorietà soprattutto per “Training day”, non è mai stato un regista raffinato e qui lo dimostra una volta di più, dove l’esplosiva ferocia delle azioni sembra essere l’unico interesse di un ulteriore, inutile ricalco. Di meglio ci si aspettava senza dubbio dalla sceneggiatura di Nic Pizzolato (qui in coppia con Richard Wenk), ma l’autore dello script di una delle serie tv più amate degli ultimi tempi (“True detective”, 1 e 2) abbandona le strutture complesse e depistanti del noir e si accontenta di un intreccio essenziale, dove il fine è quello di provocare solo scontri a fuoco, rendendo ordinario ogni tentativo epico dell’operazione di salvataggio del gruppo.
La vicenda è notissima: a Rose Creek il villain Bartholomew Bogue (Peter Sarsgaard che regge bene la parte) tiene in scacco la popolazione. In loro soccorso arrivano 7 pistoleri, fino alla liberazione. In realtà l’inizio farebbe bene sperare (la prima scena si chiude con la chiesa in fiamme, il potere è legato indissolubilmente al denaro…), ma Fuqua disperde presto tutta la portata simbolica e poi carica per strada la compagnia ribelle, accontentandosi di alcuni elementi oggi indispensabili, dalla multietnicità (il nero, l’asiatico, l’ispanico…) alla presenza femminile, senza che il cammino accompagni un reale rafforzamento dei legami, dove anche il sacrificio di alcuni non sembra essere il necessario segno di un’identità morale collettiva.
Cast lussuoso (Denzel Washington, Chris Patt, Ethan Hawke, Vincent D’Onofrio…) che non ha però mai lo sguardo ruvido del precedente (McQueen, Bronson, Coburn, Brynner…), chiassosi e abbastanza schematici gli interminabili scontri a fuoco. Inutile cercare il Mito, in queste praterie ormai cavalca sono l’intrattenimento. E a forza di sparare a ogni bersaglio per fare del movimento, a morire un po’ è la pulsione eroica del western, dove i sentieri non sono più selvaggi come un tempo.
Stelle: 2

OZON: AMORE, GUERRA E SANE BUGIE - Partendo da “L’homme que j’ai tué” di Maurice Rostand, già alla base di “Broken lullaby” di Lubitsch (ma non si tratta di un vero e proprio remake, soprattutto la seconda parte è decisamente diversa e c’è anche un ribaltamento dell’ottica franco-tedesca), il regista parigino François Ozon con “Frantz” racconta la storia triangolare di un soldato tedesco morto in trincea, della sua fidanzata e di un amico francese, all’indomani della Grande Guerra.
In realtà il tema apparentemente secondario è di gran lunga più interessante: la dimostrazione di come la bugia non solo non sia una pratica disdicevole, ma al contrario aiuti tutti a vivere meglio (pensiero squisitamente lubitschiano), è il cardine essenziale per un ulteriore cambio di prospettiva delle cose e non solo delle frontiere. Restano dei dubbi sulla preferenza stilistica (bianco & nero con inserti didascalici a colori) un po’ troppo accademica, pur nella sua raffinatezza; e sulla scelta curiosa di Ozon di minimizzare l’aspetto omosessuale. Ma gli attori sono tutti encomiabili, da Paula Beer, premiata all’ultima Mostra, a Pierre Niney che dà al suo Adrien la sensibilità tormentata di chi nasconde più segreti, in un film dove il fantasma di Frantz domina le illusioni di tutti. 
Stelle: 3

  Ultimo aggiornamento: 15-10-2016 11:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA