Adriano De Grandis
OGGETTI DI SCHERMO di
Adriano De Grandis

Free State of Jones, l'ultimo antieroe Usa
Zucchine e comorani, il cinema esaltante

Sabato 3 Dicembre 2016

Durante la Guerra Civile Americana (siamo a metà Ottocento), il contadino Newton Knight, dopo la morte sul campo di un nipote, fugge dall’esercito degli Stati Confederati. Tornato a casa, rischiando la morte per aver disertato, si rifugia in una palude con un gruppo di neri e nel tempo riesce a organizzare un’enclave politica all’interno degli Stati del Sud, denominandola “Free State of Jones” (siamo nel Mississippi), arrivando a combattere soprattutto le leggi che garantivano l’odio razziale.
Da una storia realmente accaduta e totalmente sconosciuta (almeno dalle nostre parti), Gary Ross (il primo “Hunger games”) trae un film che riesce a scacciare ogni idea di enfatizzazione del racconto e soprattutto del personaggio principale, qui ragionevolmente equilibrato anche grazie a Matthew McConaughey. Rafforza l’idea prettamente storica degli avvenimenti, abbandonando i facili tasselli del mélo, anche nelle asciutte scene di guerra o nei momenti più struggenti della vita familiare, in special modo facendo affiorare una figura di antieroe che sa combattere per ideali forti e cause civili, creando una consapevole fierezza identitaria di tutto un gruppo e poi di una piccola nazione, senza nascondere attriti, perplessità e perfino inganni all’interno della comunità.
La battaglia di Newton Knight, prettamente politica ma anche strategica sul campo degli scontri, comporta, all’interno della propria territorialità indipendente, la cognizione di una capacità rivoluzionaria complicata ma combattuta con fermezza: non a caso, e con puntuale avviso tramite efficaci flashforward, Ross spiega che nonostante quella fragile vittoria di metà Ottocento, quasi un secolo dopo, un discendente di Knight è costretto ancora a difendersi dall’accusa di essere un nero dalle mai cancellate, oscurantiste leggi del Sud, perché avrebbe un 1/8 di sangue nero (in seconde nozze Knight sposò una ragazza di colore).
Il flusso del racconto, che comporta anche la lotta di classe tra poveri e latifondisti, è accattivante nella sua forma didattica, scevro da ogni spettacolarizzazione (negli Usa è andato male), anche nei suoi passaggi più crudi come l’uccisione in chiesa e l’impiccagione del fido schiavo liberato, e capace di farci fremere ancora una volta per un bisogno di giustizia inalienabile. Niente di indimenticabile, ma onesto e sincero.             
Stelle: 3



LA MIA VITA DA ZUCCHINA: UN GIOIELLO IN STOP MOTION

Zucchina è un bambino, non un vegetale. È il suo soprannome. Non ha papà e la mamma conserva più birre che un atteggiamento materno. Quando il piccolo Icaro (questo il suo vero nome) ne provoca involontariamente la morte, orfano viene portato da un poliziotto alla Casa dei bambini, dove troverà tanti coetanei accomunati da altrettante tragedie.
Scritto dalla bravissima Céline Sciamma, che d’infanzia e adolescenza se ne intende (“Tomboy”, “Diamante nero”), e diretto con la tecnica a passo uno da Claude Barras, “La mia vita da zucchina”, in un’ora appena (che meraviglia…), racconta, con esemplare semplicità, il desiderio di avere degli affetti (attenzione: non vale solo per i bambini, si veda soprattutto il poliziotto), degli amici, una famiglia, anche se qui non siamo nell’universo Disney e le famiglie che i bambini desiderano sono la faccia sana delle famiglie terribili dalle quali sono stati salvati in precedenza.
L’animazione di “La mia vita da zucchina” gioca su cromatismi efficaci, paesaggi immediatamente conciliabili e una narrazione lineare che rappresenta una realtà infantile nelle sue dinamiche più sincere, anche nelle contrapposizioni del bene e del male (il personaggio della zia di Zucchina). Per piccoli e grandi, un autentico gioiello. 
Stelle: 4



I CORMORANI: L'ETÀ ACERBA È UN'AVVENTURA

Matteo e Samuele sono due adolescenti, che trascorrono l’estate perdendosi nei boschi e nei centri commerciali, imparando a confrontarsi con la vita che sta cambiando.
Un coming of age intimista, silenzioso, meditativo, dove la scoperta di sé e degli altri (compresa la sessualità), porta l’esordiente Fabio Bobbio a descrivere due ragazzi semplici in una metafora avventurosa, reale e fantastica, della loro esistenza. La storia di un’amicizia diventa così il percorso fattivo per una futura consapevolezza del mondo e se alcuni passaggi narrativi sembrano prendere il sopravvento (l’insistenza sulla figura della prostituta stona un po’, un fuoricampo sarebbe stato perfetto), “I cormorani” è di gran lunga un’opera prima che mostra la vera, fondamentale vitalità del cinema italiano.
Stelle: 3½
  Ultimo aggiornamento: 14:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA