MONDO OVALE di

Italia, anatomia di una squadra perdente. Ma la "meta" di  Furno ci ha fatto sognare

Giovedì 8 Ottobre 2015
 La solita Italia? Si e no. No, se consideriamo le deprimenti partite con la Francia (sconfitta perentoria) e il Canada (vittoria col brivido). Con l’Irlanda invece, anche se mai in vantaggio, è stata in grado di tenere testa e giocarsela quasi alla pari. Una prestazione di buona sostanza come da tempo non si vedeva sul piano del combattimento fisico, della determinazione, della solidarietà, persino della voglia di giocare. Al contrario è stata la solita Italia se guardiamo al risultato finale: la sconfitta, seppur di misura. L’ennesima occasione mancata. È stata l’Italia di sempre se si tiene conto di come è maturato il ko: con la raffica di errori pacchiani, da squadra naif sia in touche che nel gioco al piede e nelle scelte (sul 10-6 si è rinunciato a un piazzato da 3 punti sicuri per cercare la touche e una meta che non è arrivata). E poi certi falli da mancanza di lucidità in zona di placcaggio. Non è nemmeno la prima volta che l’Italia all’ultima spiaggia o quando precipita nell’abisso, reagisce, trova l’exploit o lo sfiora. Il suo problema semmai è la continuità. Non è impossibile una buona partita di tanto in tanto con una grossa squadra, come l’Irlanda. Il problema è ripetersi, convincere pienamente col Canada, Samoa o la Romania. Come se certe prestazioni avvenissero più per le risorse morali degli italiani, capaci di dare il meglio di sè nelle situazioni disperate, che per le loro qualità tecniche e di gioco, o di freddezza mentale e di gestione. SCONFITTA GIUSTA. Avrebbe potuto vincere? Di sicuro, se fosse arrivata la meta di Furno (di rara bellezza per le nostre abitudini) ci sarebbe andata molto vicina. Ma l’Irlanda a conti fatti ha legittimato il successo pur in una giornata di rara opacità del suo rugby. Lo ha fatto controllando costantemente la partita. E con grande mestiere e intelligenza negli ultimi 10 minuti quando si è trovata in inferiorità numerica per l’espulsione sacrosanta di O’Mahony (uno dei migliori) e ha tenuto l’Italia lontana dalla propria metacampo con un gioco al piede molto preciso. PERCHÈ HA PERSO. Gli azzurri, a tratti arrembanti, hanno saputo imporre sprazzi del proprio gioco, come nel caso della meta sfiorata di Furno. Una sequenza corale di cinque fasi nata da un contrattacco di Gori e durata quasi un minuto: 70 metri di campo risaliti fino a mezzo metro dalla linea con due cambi di fronte e 17 passaggi, offload di Sarto e dello stesso Gori, due accelerazioni di Parisse, un incredibile passaggio di Cittadini da mediano di mischia, lo sprint finale di Furno, un seconda linea lanciato all’ala. Ma ha anche subito. Ha tenuto testa ai verdi. Ma non è riuscita ad imporsi fisicamente e atleticamente. Non si è dimostrata cioè migliore degli avversari, questo il punto. Anzi, nel finale è parsa in riserva, pagando le energie del quarto d’ora di forcing di inizio ripresa. COSA HA FUNZIONATO - La mischia ordinata è stata una certezza, soprattutto nel primo tempo. La difesa ha brillato per efficacia e intelligenza, con una sinergia tra ruck e linea di opposizione. Brunel è stato molto bravo a correggerla a partita in corso. Nei primi 40’ si è mostrata quasi sempre piazzata, organizzata, aggressiva. Ma nonostante ciò nelle fasi a terra spesso subiva la pressione, venendo sospinti gli azzurri nel proprio campo. E Sexton in tre occasioni ha trovato gli spazi e creato il panico con le sue idee e le sue corse. In una ha innescato la spettacolare combinazione che, come d’incanto, ha proiettato Earls dietro i pali. Se l’Italia avesse continuato a lasciargli spazio, la situazione sarebbe potuta precipitare. LA CHIAVE. Invece nella ripresa l’Italia ha fatto un salto di qualità tecnica e di intensità nelle ruck difensive, intervenendo efficacemente con due "sgombratori" sui sostegni avversari impegnati nella pulizia a terra. Gli italiani li spingevano indietro, rimanevano sugli appoggi, qualche volta recuperavano, ma soprattutto hanno ritardato le loro liberazioni. Venti minuti così non si vedevano da tempo. Contemporaneamente il movimento della linea, all’inizio più controllato, attento a non offrire spazio alle spalle per il gioco al piede, ha a sua volta aumentato la pressione, tenendo alto un difensore esterno per tagliare i collegamenti irlandesi con le ali, sotto la minaccia di placcaggi offensivi, cioè oltre la linea del vantaggio, o di intercetti. Un paio di volte l’Italia si è addirittura avventurata nella "rush defence", con salite a tavoletta su attaccanti schierati profondi. Tra palloni lenti e spazi esterni chiusi, a Sexton sono rimaste poche opzioni per lanciare il gioco. Ha colpito con i calci ficcanti, ha occupato il campo, ha messo tra i pali i punti della vittoria. Ma non è riuscito ad alzare il ritmo, a far decollare il gioco e il punteggio. COSA NON VA. La nostra Nazionale è stata in partita grazie alla mischia e alla difesa. Ma è troppo poco per progettare una vittoria basata sulle proprie forze. È mancata clamorosamente la touche. I lanci di Manici non sono stati sempre all’altezza, ma la meta di Earls è nata da uno scippo di O’Mahony a Parisse in una combinazione azzurra decifrata alla perfezione. La nostra rimessa laterale da tempo è altalenante. Bisogna trovare soluzioni stabili. Ancora: poco e poco efficace il gioco al piede. L’Irlanda ha calciato 43 volte, noi 28. E raramente abbiamo avanzato nei calci per imprecisione, mancanza di pressione, lettura tattica superficiale, inferiorità nel gioco aereo. COSA SERVE. Se nei trequarti latitano i velocisti puri, dotati di rapidità, tecnica raffinata e destrezza, bisogna almeno avere piedi pensanti se vuole qualche vittoria. L’Italia invece non ha avuto domenica neppure il maul penetrante, il mezzo offensivo dei poveri, quello più democratico. Alla portata di tutti. In tre occasioni l’arbitro lo ha sanzionato senza che gli azzurri siano riusciti a chiarire i problemi di disciplina, altre volte non lo hanno innestato a causa dei disastri in touche. Una vera disdetta. Perché se la difesa ci ha tenuti in partita, i raggruppamenti penetranti avrebbero potuto ribaltarla. Touche, gioco al piede e maul: tre piste immediate su cui lavorare. (Toni Liviero) Ultimo aggiornamento: 02:44 © RIPRODUZIONE RISERVATA