L'OPINIONE

Mercoledì 27 Agosto 2014
Cominciamo col dire – a scanso di equivoci – che la questione dei “lucchetti dell'amore” non è IL problema di Venezia. Magari potessimo avere di botto sessantamila abitanti in più, una volta tolti di mezzo, oppure un porto per le grandi navi fuori della laguna e il fronte d'acqua di Marghera bonificato e riadattato a servizi. Però costituiscono un segnale. Non vanno a incidere sui grandi numeri o sugli aspetti sovrastrutturali, ma sono uno sfregio evidente e per questo più immediato e fastidioso, al corpo vivo della città. Sono inoltre il risultato di uno dei pochi gesti di vandalismo sistematico perpetrato ai danni di Venezia da parte dei visitatori, più o meno inconsapevolmente, visto che la maggioranza di loro non ha nemmeno idea di compiere un illecito.
Per questo, assieme alle necessarie azioni di rimozione e alle inevitabili misure di repressione – verso gli abusivi che li vendono, verso i turisti che li appendono – c'è bisogno di informare le persone che esistono altri modi di viaggiare e di conoscere; che si può dimostrare amore a un'altra persona in mille maniere più rispettose del buon senso e del luogo che ci ospita, forse anche più divertenti e fantasiose.
Ecco, la lotta di questi giorni non è soltanto una lotta alla ferraglia rugginosa che come una lebbra intacca la pietra d'Istria: è una lotta contro l'omologazione, contro l'idea che rifugiarsi nello stereotipo sia la migliore e meno rischiosa. La vinceremo? difficile a dirsi. Certo è che da qualche parte bisognava cominciare.

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