Mercurio in laguna, eppure si pescava

Sabato 1 Novembre 2014
Mercurio in laguna, eppure si pescava
L'ordinanza di emergenza con cui la laguna di Grado e Marano veniva inserita nel programma di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di interesse nazionale evidenziava una situazione di gravissimo inquinamento. Eppure nei 10 anni di emergenza nell'area non sono mai stati posti limiti alla pesca e alla raccolta dei molluschi.
CONTRADDIZIONE. A evidenziare la contraddizione è il pm Alberto Galanti nelle oltre 100 pagine di avvisi di garanzia con cui ha invitato a comparire per rendere interrogatorio 26 indagati nell'ambito dell'inchiesta sul bluff delle bonifiche ambientali, condotta dai Carabinieri del comando provinciale di Udine e dalla Guardia di Finanza di Roma, sugli sviluppi dell'inchiesta friulana avviata ancora nel 2012 dal pm Viviana Del Tedesco. «In base agli studi effettuati sulla presenza di inquinanti la laguna risulta interessata da gravissimi fenomeni di contaminazione connessi anche all'esercizio di attività economico-produttive svolte nelle aree contermini alla laguna», si legge nell'ordinanza che poi prosegue: «La compromissione della vita acquatica e la conseguente alterazione dell'habitat naturale aggravano la situazione igienico-sanitaria e rendono oltremodo probabile il passaggio di sostanze inquinanti nella catena alimentare con grave pregiudizio per la salute». Eppure, rileva il magistrato romano, «a fronte dell'asserito grave inquinamento da mercurio neuro-tossico, gli enti di controllo competenti a monitorare la qualità delle acque e delle caratteristiche del pesce (Arpa e Asl) mai ponevano limitazioni alla pesca e alla raccolta dei molluschi che, com'è noto, vivono e si alimentano sui fondali lagunari».
I controlli periodici effettuati dall'Ass avrebbero sempre evidenziato «che i livelli di bio accumulo rientrano nei limiti imposti dalla legislazione in materia di commercializzazione». Alcune prescrizioni sarebbero state imposte «esclusivamente per determinate aree molto circoscritte, in particolare quelle ubicate in prossimità della foce Aussa-Corno».
INTERCETTAZIONI. «Non vorrei che un raccolto andasse perso per un ritardo perché sai il sito lo abbiamo perimetrato noi e non mi piace che non si possa fare roba in un sito che non so, boh, neanche se è inquinato o meno. Il sito è perimetrato come potenzialmente inquinato. Altrimenti i siti non li perimetreremo più», sostiene l'ex direttore del ministero dell'Ambiente Gianfranco Mascazzini nel 2008, sei anni dopo la perimetrazione del Sin, nel corso di una telefonata con Marta Plazzotta, capo dipartimento dell'Arpa di Udine, finita nel registro degli indagati, preoccupata perché non sa come fare per rilasciare l'autorizzazione alla coltivazione dei mitili in un'area che risulterebbe inquinata.
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