Estorsione, assolto dopo tre anni

Mercoledì 24 Settembre 2014
Condannato in primo grado a due anni di reclusione e 200 euro di multa per tentata estorsione e minacce, viene scagionato in appello. Ci sono voluti quasi tre anni, per un artigiano 59enne di origini pugliesi residente nell'hinterland udinese, prima di scrollarsi di dosso il rischio di finire dietro le sbarre. La sentenza "liberatoria" è stata pronunciata nei giorni scorsi dalla Corte d'Appello di Trieste (Reinotti, Ferraro, Rigo) in parziale accoglimento del ricorso presentato dal difensore dell'imputato, l'avvocato Emanuele Sergo, contro la sentenza del giudice monocratico. Assolto perché il fatto non sussiste dalla tentata estorsione, è stato condannato a 100 euro di multa per le sole minacce. Ridimensionata anche la provvisionale sul danno alle parti civili, da 3 mila euro del primo grado ai 400 euro fissati in appello.
Tutto era cominciato a seguito di un sinistro stradale di cui l'imputato era rimasto vittima. Era così entrato in contatto con un perito assicurativo della provincia di Udine, a cui aveva conferito mandato per aiutarlo a ottenere la liquidazione dei danni. Tra i due si era instaurato un rapporto di conoscenza e fiducia. Il perito gli aveva prestato 12 mila euro quale anticipo sulla liquidazione del danno. E l'artigiano aveva effettuato dei lavori di pittura a favore di sua moglie. Ma proprio a seguito di un disaccordo sul relativo pagamento, il rapporto si era incrinato. L'imputato aveva revocato il mandato e il perito gli aveva chiesto l'immediata restituzione del prestito. Ne era nata una telefonata minacciosa effettuata il 17 settembre 2009 dall'imputato, seguita da un'altra il 2 novembre. Nel mezzo, il 23 settembre, l'episodio che gli era costato l'accusa più grave: la tentata estorsione. Quel giorno l'imputato aveva incontrato la moglie del perito che, dopo aver scoperto il prestito concessogli dal marito, aveva cercato di convincerlo a riaffidargli il mandato per la gestione del sinistro. L'imputato aveva chiesto come contropartita un'ulteriore somma di denaro, accordandosi anche per il pagamento dei lavori di pittura effettuati. Per l'accusa, che aveva chiesto una condanna a 4 anni di reclusione, e il giudice di primo grado, si era trattato di un tentativo di estorsione. «L'impropria gestione del proprio ruolo da parte del perito, che si veniva a trovare in conflitto dovendo da un lato effettuare perizie corrette nell'interesse dell'assicurazione, dall'altro avendo interesse diretto alla liquidazione sulla quale contava per rientrare dei propri crediti verso l'imputato - motivava in sentenza nel 2011 -, aveva dato l'idea a quest'ultimo di poter ottenere ulteriori somme». La difesa sosteneva invece che fosse stata richiesta solo come ulteriore prestito sulla liquidazione del danno. Argomentazione che ha convinto ora i giudici di secondo grado.
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