Cinquanta profughi all'ex acciaieria Safau

Sabato 29 Novembre 2014
La speranza di una nuova vita e di un nuovo lavoro si aggrappa paradossalmente allo scheletro della grande fabbrica chiusa tanti anni fa. È passato poco più di un mese da quando un centinaio di richiedenti asilo abitava in condizioni precarie in via del Vascello e adesso l'emergenza si è spostata in un'altra zona della città: una cinquantina di persone infatti ha trovato un tetto precario nell'ex Safau.
Sono tutti giovani afgani e pakistani, molti non parlano l'inglese, vivono al freddo in edifici pericolanti e in scarse condizioni igienico sanitarie. Invisibili, perché ancora in attesa di presentare richiesta di asilo: esclusi, quindi, da qualsiasi programma di accoglienza. D'altronde, l'emergenza sta diventando ormai cronica. Alla frontiera di Tarvisio arrivano mediamente 30 persone alla settimana, a Udine, in questi giorni, sette a sera: vengono indirizzate nel capoluogo friulano dove c'è la Questura, perché è lì che si raccolgono le impronte digitali, fondamentali per l'iter di richiesta asilo. Il problema però è che iniziare la procedura richiede tempo, anche un mese.
Nel frattempo queste persone sono in un limbo e le istituzioni non possono intervenire. Ne arrivano ogni giorno, un ricambio continuo: la sera dello sgombero di via del Vascello, a Udine c'erano già una decina di altri richiedenti asilo; nel mese successivo una settantina di persone sono state assorbite nei vari progetti di accoglienza. Alcuni sono di passaggio, si fermano una notte poi ripartono. Capiscono che qui non ci sono grosse possibilità di inserimento, che i programmi sono pieni. Molti minorenni vogliono andare in Nord Europa, dove i centri di accoglienza sono meglio organizzati, altri minori invece si fingono maggiorenni perché altrimenti non possono lavorare e loro, di lavorare, hanno bisogno: venire in Europa, dopo viaggi lunghissimi nascosti dai passeur perfino dentro a scatoloni, costa circa 10mila dollari ed è un debito che devono ripagare, senza contare che le famiglie rimaste in Afghanistan (dove, soprattutto al sud, la guerra è finita solo formalmente) o in Pakistan contano sui soldi che possono inviargli.
La maggior parte di quelli che ora vivono alla Safau è arrivata attraverso la Bulgaria e l'Ungheria. Alcuni ragazzi sono arrivati da minorenni in Nord Europa: sono stati accolti nei centri, hanno creato delle reti affettive per poi essere mandati via alla maggiore età. Chi in Italia ottiene i documenti di viaggio punta a tornare al Nord e non è facile: l'Inghilterra, ad esempio, è una meta ambita, ma non essendo nello spazio Schengen non riconosce quei documenti, che comunque ad un certo punto vanno rinnovati e questo richiede tempi lunghissimi e requisiti di residenza. Così, spesso, gli immigrati rientrano nella clandestinità. In tutti questi viaggi senza sosta, rimbalzati da una frontiera all'altra, pesano ovviamente le diverse impostazioni e le modalità di gestione dell'immigrazione degli Stati europei. Ma pesa anche, secondo gli operatori e lo stesso Comune di Udine, l'incapacità dello Stato di far fronte in particolare agli arrivi di profughi via terra: Mare Nostrum assorbe moltissimi posti, ma dove le esperienze sono strutturate come nel modello Sprar, spiegano ad esempio alla Caritas di Udine, le cose funzionano.
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