«Burocrazia, in Regione 4 mesi per distribuire un questionario»

Domenica 21 Settembre 2014
I dipendenti pubblici in Italia – e il Friuli in questo non fa differenza - sono bersaglio di molti luoghi comuni. Distribuendo nei vari enti, dalla Regione ai Comuni, i 1.800 questionari per valutare la motivazione degli impiegati, lei, Margherita Cogo, è riuscita a sfatare qualcuno di questi luoghi comuni?
«Posso dire di aver sfatato il luogo comune sui fannulloni. Distribuivo i questionari all'ingresso, vicino al "timbratore" dei badge. Non so cosa poi facessero in ufficio, ma i dipendenti che ho visto io entravano tutti in orario. Sono rimasta piacevolmente stupita anche per l'interesse suscitato dalla ricerca».
Quali sono state le reazioni?
«Sono venuti a chiedermi: "Cosa vuol dire questa domanda?". E altri: "Oddio, e se rispondo in modo sbagliato...". Alcuni mi hanno chiesto via mail delle delucidazioni una volta consegnato il test. Volevano sapere a cosa mirasse lo studio. Molte donne, poi, mi dicevano che avevano dei figli della mia età e che avrebbero compilato il test volentieri perché glieli ricordavo. Una signora triestina, in Regione, mi ha chiesto di poter assistere alla mia laurea».
Chi ha compilato il test ha fatto dei commenti?
«C'è chi in cima al questionario ha scritto: "Ma questo è un test sulla sincerità?". E ha disegnato una faccina sorridente. Chi ha messo un post-it con gli auguri per la laurea. Qualcun altro ha scritto "ci sono delle domande che si ripetono" o "mi avete fatto saltare la pausa pranzo"».
Sono stati più i consigli o le critiche?
«Più i consigli. Per esempio, su un'affermazione non formulata benissimo (c'erano 81 frasi su cui esprimere il proprio accordo o disaccordo ndr) o sul motto "dovere, onore e Paese", traduzione di quello Usa, che però in Italia non dice nulla».
Dove ha incontrato più difficoltà o resistenze?
«Bisognava garantire al massimo l'anonimato e in Regione i sindacati hanno parlato con i dirigenti e hanno preferito che distribuissi e ritirassi io i questionari, per far vedere che la ricerca era dell'università, in modo che i dipendenti si sentissero più tutelati. Anche ad Azzano Decimo e Chions hanno chiesto prima il permesso ai sindacati. Regione e Comune di Pordenone sono stati i più formali: per la consegna dei test, hanno voluto uno scatolone portato da me con l'indicazione che la ricerca era dell'ateneo di Trieste».
Alcuni dipendenti saranno rimasti spiazzati dal fatto di doversi esprimere su affermazioni come “penso raramente al benessere delle persone che non conosco personalmente”. Qualcuno ha avuto il dubbio che fosse il capoufficio a voler sondare le sue reazioni?
«Assolutamente no. I test li consegnavo io, li ritiravo io, con lettera di presentazione dell'ateneo».
Dove ha ricevuto la maggior percentuale di risposte?
«In Regione, con il 52% (a Udine, su 400 test consegnati, hanno risposto in 230 ndr). Mentre il tasso minore di risposte, in Comune a San Vito al Tagliamento, con il 15%. A Forni di Sopra, invece, hanno risposto in 13 su 25».
Ha trovato persone più disponibili a Udine, a Pordenone o a Trieste?
«In Regione tutti, ma in modo diverso. A Trieste sono più disponibili alla battuta con il sorriso. A Pordenone più indaffarati. A Udine sono organizzati in modo "tedesco". Visto che il Palazzo è enorme, ogni piano ha il suo responsabile. Devo ringraziare l'assessore Panontin, che mi ha aiutato ad avere una porta aperta per distribuire i test in Regione».
Che immagine del dipendente pubblico le ha lasciato questa esperienza?
«Assolutamente positiva. Persone disponibili, simpatiche e curiose. Fra quanti hanno risposto, il 60% sono donne. Come sono? Più eleganti a Trieste, più grintose a Udine e Pordenone».
Quanto tempo ha dedicato alla tesi?
«I primi incontri sono stati a novembre 2013. Per la distribuzione dei test due ore al giorno per due settimane in Regione, una giornata per ciascuno degli altri enti (5 Comuni e le scuole a Trieste). È come costruire una casa: Forzini è il designer, il professor Agostini il direttore dei lavori, io l'operaio specializzato. Ognuno è indispensabile per la riuscita dell'opera. E la casa sta venendo su bene».
Conosce dei dipendenti pubblici? Come hanno commentato il suo lavoro?
«Mio zio, Giovanni Cogo, lavora in Comune ad Azzano Decimo, il primo ente da cui sono partita, e mi ha suggerito a chi rivolgermi e cosa chiedere: è stato uno stratega. Ha trovato il test interessante».
Quanto conta la motivazione?
«È la base. Non solo per far bene il proprio lavoro, ma per poter essere felici».
Gli impiegati che ha conosciuto le sono parsi felici?
«Beh, se non altro andavano al lavoro volentieri. Mi sembravano orgogliosi. Con me sono stati deliziosi».
Cosa cambierebbe, se potesse, nel pubblico impiego?
«Toglierei un po' di burocrazia. Per somministrare un semplice questionario abbiamo dovuto superarne un sacco. In Regione ho dovuto anche parlare con lo psicologo, perché volevano capire dove andasse a parare l'indagine prima di parlarne con i sindacati. Prima di poter distribuire i questionari ci sono voluti 4 mesi per superare la burocrazia: da fine marzo a metà agosto».
In futuro pensa di impegnarsi nel settore pubblico?
«Se farò ricerca in università, sì. E sarò una dipendente pubblica motivata».
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