Said scappato dalla guerra «Nel Mali non c'è futuro»

Venerdì 4 Settembre 2015
TREVISO - (P. Cal.) «Avvertenza: non possono essere ripresi o comunque resi riconoscibili. Non potete pubblicare il loro nome. Al massimo delle foto con loro girati di spalle. Sono persone sotto tutela e la loro identità va preservata». L'operatrice della Caritas, Ilaria, snocciola il decalogo da seguire alla lettera prima di entrare nella canonica di San Pio X. Poi apre la porta e ci fa entrare. Sulla soglia c'è un ragazzo, Said (nome di fantasia), arriva dal Mali: jeans, maglietta nera, cappellino. Ci sorride ma inizialmente non vuole parlare. Poi, con un pò d'insistenza, si scioglie. «Sono in Italia da un anno e sei mesi - dice - prima di arrivare in questa parrocchia, sono stato sei mesi a Istrana. Sono stato accolto bene, mi hanno aiutato tanto. Adesso vorrei trovare un lavoro, magari come giardiniere. Intanto studio». Ha 26 anni e grazie alla Caritas è riuscito ad iscriversi ai corsi serali del Giorgi: «Ho appena finito il primo anno e sono stato promosso al secondo - racconta non senza un pizzico di legittimo orgoglio - ho voti sufficienti, ma spero di migliorare». Durante il giorno può uscire, magari dopo aver fatto i mestieri di casa assieme agli altri otto suoi compagni. Il loro compito è di mantenere in ordine un pò tutto, compreso il grande giardino che un tempo ha ospitato un asilo molto conosciuto e frequentato. Oggi bambini non ce ne sono più, al loro posto questi giovani in cerca di futuro: «Sono scappato dal Mali per via della guerra - racconta - se fossi rimasto, sarei stato costretto a combattere. La mia famiglia, mio papà, mia mamma e le mie tre sorelle, ha invece voluto darmi la possibilità di un futuro migliore. Sono quindi venuto via. Ho preso un barcone dalla Libia per arrivare in Sicilia. Non è stato facile. Ma in Mali possibilità non ce ne sono». Le difficoltà però non mancano nemmeno in Italia: «Il vero problema è che, dopo un anno e mezzo, sono ancora in attesa di un solo documento. E senza documenti non si può fare niente». L'altro problema di Said è che, in prima istanza, la sua richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato è stata rifiutata. Ha fatto ricorso ed è in attesa: «Se me lo respingono mi rimandano in Mali. Spero che non accada perché nel mio paese non c'è lavoro e futuro».
Dietro Said un altro ragazzo annuisce con convinzione: anche lui ha alle spalle una storia simile e sta facendo uno stage come barbiere. Così come un altro amico di Said, seduto di fronte a lui ma intento in alcuni esercizi di grammatica: espediente utile per isolarsi dalla conversazione visto che di parlare non ha molta voglia.
Nell'ex canonica si respira un'atmosfera rilassata. I ragazzi convivono serenamente, i rapporti con i vicini sono buoni: «Hanno tutti una storia da raccontare - conclude Ilaria - e in attesa di avere i nuovi documenti si danno da fare. Studiano, imparano un mestiere, si rendono utili. Ditelo che sono ragazzi come tutti gli altri».

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