Nell'arco di sei giorni per cinque volte ha chiesto assistenza al Pronto soccorso dell'ospedale di Rovigo per le sue condizioni di salute estremamente precarie ricevendo però solo certificati di dimissione e un secco no alle richieste di essere ricoverato.
Se si fosse trattato di un paziente con una qualsiasi sintomatologia dolorosa, quanto accaduto poteva passare come un disservizio a vario titolo generico dovuto a una non appropriata percezione dei fatti. Ma la persona di cui si sta raccontando l'odissea è, o meglio era, un malato terminale di cancro. Era, perché il rodigino 56enne è deceduto giovedì all'ospedale di Aviano.
È la moglie che parla: «Mio marito era stato operato per un tumore allo stomaco ed era prostrato dai cicli di chemiterapia. La sera del 3 maggio è colpito da un forte mal di testa. Abitando a Boara Polesine, l'ho accompagnato al Pronto soccorso dell'ospedale alle 22.30. Gli viene assegnato un codice bianco ma nessuna assistenza. Alle 3 e mezza del mattino lo dimettono ma continua ad avere fortissimi dolori. Il giorno dopo lo porto per la visita in oncologia e lì escludono che il dolore alla testa sia collegato al tumore. E' stato lasciato su una sedia e solo con l'arrivo del primario gli è stata trovata una brandina. Gli viene però consigliata una Tac alla testa ma già nello stesso pomeriggio aveva prenotato una Tac a torace e addome. Una dottoressa, dimettendolo, ci dice che per un mal di testa non c'è ricovero. Ma lui continua a stare male. La scusa è che non ci sono posti letto. Addirittura nei referti delle Tac sbagliano la stampa e me ne consegnano uno già fatto a febbraio anziché quello del 5 maggio».
Il calvario va avanti fino al sabato con tre chiamate al 118 e infine l'ultima dimissione dal Pronto soccorso dopo la somministrazione di morfina, non senza l'intervento dei medici di Aviano che hanno dovuto spiegare a Rovigo lo stato del paziente. Il lunedì la signora porta il marito al centro ospedaliero pordenonese dove due giorni fa è deceduto.
«Mio marito sarebbe morto lo stesso. Le cure ormai erano solo palliative, ma averlo sottoposto a questa tribolazione gratuita ha offeso la sua dignità di malato terminale».
© riproduzione riservata
Se si fosse trattato di un paziente con una qualsiasi sintomatologia dolorosa, quanto accaduto poteva passare come un disservizio a vario titolo generico dovuto a una non appropriata percezione dei fatti. Ma la persona di cui si sta raccontando l'odissea è, o meglio era, un malato terminale di cancro. Era, perché il rodigino 56enne è deceduto giovedì all'ospedale di Aviano.
È la moglie che parla: «Mio marito era stato operato per un tumore allo stomaco ed era prostrato dai cicli di chemiterapia. La sera del 3 maggio è colpito da un forte mal di testa. Abitando a Boara Polesine, l'ho accompagnato al Pronto soccorso dell'ospedale alle 22.30. Gli viene assegnato un codice bianco ma nessuna assistenza. Alle 3 e mezza del mattino lo dimettono ma continua ad avere fortissimi dolori. Il giorno dopo lo porto per la visita in oncologia e lì escludono che il dolore alla testa sia collegato al tumore. E' stato lasciato su una sedia e solo con l'arrivo del primario gli è stata trovata una brandina. Gli viene però consigliata una Tac alla testa ma già nello stesso pomeriggio aveva prenotato una Tac a torace e addome. Una dottoressa, dimettendolo, ci dice che per un mal di testa non c'è ricovero. Ma lui continua a stare male. La scusa è che non ci sono posti letto. Addirittura nei referti delle Tac sbagliano la stampa e me ne consegnano uno già fatto a febbraio anziché quello del 5 maggio».
Il calvario va avanti fino al sabato con tre chiamate al 118 e infine l'ultima dimissione dal Pronto soccorso dopo la somministrazione di morfina, non senza l'intervento dei medici di Aviano che hanno dovuto spiegare a Rovigo lo stato del paziente. Il lunedì la signora porta il marito al centro ospedaliero pordenonese dove due giorni fa è deceduto.
«Mio marito sarebbe morto lo stesso. Le cure ormai erano solo palliative, ma averlo sottoposto a questa tribolazione gratuita ha offeso la sua dignità di malato terminale».
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