Grandi Stazioni: le accuse a Gambato su un binario morto

Mercoledì 3 Settembre 2014
Grandi Stazioni: le accuse a Gambato su un binario morto
«Non è una notizia né bella né brutta: la definirei ordinaria. Non è un esito, è la fine di un percorso».
È quasi "filosofico" il commento con il quale Michele Gambato, presidente di Unindustria Rovigo e Sistemi Territoriali, commenta l'avvento ormai ineluttabile della prescrizione nella inchiesta giudiziaria che lo vedeva coinvolto assieme ad altre tre persone. «Per la verità - commenta -, il termine per la prescrizione scadrebbe il prossimo 7 ottobre, per quanto a mia conoscenza».
Un mese neppure: impossibile che in un termine tanto breve - per i tempi della giustizia chiaramente - possa accadere qualcosa. Lo sa benissimo anche il numero uno di Unindustria. «Penso sarebbe difficile - commenta -, anche se fossimo nel più avanzato dei paesi anglosassoni. Poi noi chiaramente non siamo né avanzati, né anglosassoni».
Del resto la prescrizione era apparsa un esito verosimile sin dalle battute iniziali della vicenda, se solo si pensa che l'esposto che ha innescato l'inchiesta era stato presentato oltre tre anni dopo la commissione del presunto reato. Al centro di tutto l'affitto prima, l'acquisto poi, da parte della Regione Veneto, del palazzo di Venezia in precedenza di proprietà di Grandi Stazioni, azienda del gruppo Ferrovie dello Stato. Gambato aveva svolto - secondo questa ricostruzione dei fatti - il ruolo di consulente, ottenendo in tutto 1 milione e 600mila euro. Di questi, 300mila euro per l'assistenza prestata per l'affitto nel 2001, il restante per la consulenza svolta al momento della transazione vera e propria nel 2007. Il valore complessivo dell'affare si aggirava sui 70 milioni di euro. L'immobile è quello che a Venezia si trova accanto alla stazione ferroviaria di Santa Lucia.
Va detto che le spettanze di Gambato erano state regolarmente pagate da Grandi Stazioni. Che però, oltre tre anni dopo, nel 2010, attuato un rinnovo dei vertici, aveva rivisto l'operazione con occhi differenti. Tanto da ritenere che fosse meritevole di un approfondimento giudiziario. Di qui la decisione di presentare un esposto alla Procura della Repubblica di Roma. Pure in questo caso il tutto è andato abbastanza a rilento, complice pure il passaggio di mano tra vari sostituti. Sino ad arrivare nel 2012 alla chiusura delle indagini con annessa richiesta di rinvio a giudizio per quattro persone. L'ipotesi di reato formulata in quella occasione è stata quella di truffa. Da parte sua il giudice per le indagini preliminari della Capitale, visionate le carte, si era dichiarato non competente territorialmente. A suo avviso la sede appropriata è Rovigo: qui avrebbe sede la società attraverso la quale Gambato avrebbe fatturato le propria competenze e qui sarebbe stato versato l'assegno relativo alle sue spettanze.
A questo punto tutti dettagli. L'apposizione della parola "fine" è solo questione di ufficialità. Da parte sua la difesa, affidata all'avvocato Paola Malasoma di Rovigo, aveva sempre evidenziato la contraddittorietà del comportamento di Grandi Stazioni, che prima aveva pagato poi - solo dopo anni - denunciato.
Tutto prescritto, insomma. Con Gambato che ancora non sa se esserne o meno soddisfatto. «Ci penserò - conclude - Del resto, la vita è fatta a puntate». E questa pare chiusa.
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