Sgarbi e il Pordenone: «Un profeta ignorato»

Lunedì 22 Settembre 2014
Il Pordenone, è il pittore "profeta" che per primo portò il manierismo in Veneto e che la sua città non ha mai omaggiato. L'ammonimento è di Vittorio Sgarbi il critico d'arte più noto al pubblico che ieri, nell'ultima giornata di Pordenonelegge, ha messo la propria veemenza oratoria a servizio di Giovanni Antonio dé Sacchis, detto il Pordenone. «Fu lui a portare in Veneto la pittura michelangiolesca, prima dell'arrivo del Vasari a Venezia nel 1541. E mai c'è stata una mostra nella sua Pordenone, solo a Udine nel 1939 e a Villa Manin nel 1984. Ma noi questa sera siamo qui proprio per questo, è un invito alla Camera di Commercio a fare qualcosa per lui oltre che per la promozione (l'evento era patrocinato da Pordenone With Love, ndr)». Così Sgarbi sul palco di un Teatro Verdi affollato, in una lectio magistralis trasformata in uno show pieno di aneddoti e battute graffianti, come l'immancabile frecciata ai trascorsi di Michelangelo Agrusti, al giornalista udinese, dell'Espresso, Tommaso Cerno, al suo ex allievo Roberto De Feo, o il sassolino nei confronti di Giancarlo Galan: «Mi ha tolto la carica di Soprintendente a Venezia. E come è finita? Che gli ho mandato una copia del mio ultimo libro con la dedica "Una buona lettura al fresco"». E se Pordenone poco ha dedicato al suo pittore, non è da meno Sgarbi, che nella sua pur divertente esuberanza ha rischiato di dimenticarsi proprio del dé Sacchis, relegandolo agli sgoccioli della conferenza. Perdendosi invece in Giorgione, Lotto, ma anche in un Campiello «il peggior premio di sempre, che non ha incluso il libro di mio padre 93enne tra le migliori opere prime. Molto meglio il mio premio Malattia della Vallata a giuria unica costituita da me» ironizza Sgarbi. Il critico si è lasciato andare alla storia dell'arte, aprendo spiragli inimmaginabili, apprezzati dal pubblico e irriverenti (tra tutti, una Gioconda che assume i connotati della lasciva) fino al punto di allungarsi di oltre tre quarti d'ora sul tempo consentito e concentrando la mirabile genialità del dé Sacchis in una corsa perdifiato lungo la vita dell'artista, riassunta negli ultimi venti minuti. Dalle prime opere del 1506, quando il giovane Pordenone iniziò la sua ardua impresa «intriso della pittura veneziana nel nuovo vento di inizio secolo, con un'interpretazione forse un po' scolastica del soggetto, miscelando il modello del Lotto con quello del Giorgione», le cui tracce stanno proprio nel territorio pordenonese. Vallenoncello, Villanova, Rorai, «sono i luoghi che testimoniano la sua formazione, e almeno su questo periodo sarebbe doverosa una mostra in questa città». Per non parlare di Pordenone nel cui Duomo cittadino «c'è la pala della Madonna della Misericordia, «opportunamente» nascosta da un altare». Fino alla rivoluzione pittorica degli anni Venti e Trenta del Cinquecento dopo aver «scoperto la maniera pittorica di Raffaello e Michelangelo a Mantova senza mai essere andato a Roma, a dispetto delle notti insonni che trascorrono i miei colleghi che si trastullano con il dubbio. La sua Roma fu Mantova e Palazzo Tè, con i capolavori di Giulio Romano». Un incontro da cui nacquero le sue opere migliori conservate a Piacenza, Cremona, Cortemaggiore.
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