Meccanica, bruciati 9.000 posti

Venerdì 28 Novembre 2014
Dal 2008 a oggi il solo settore metalmeccanico del sistema industriale pordenonese ha perso oltre una impresa su dieci. La produzione è calata di oltre il 32 per cento (cioé più del doppio della media europea che si è fermata al -15 per cento, con Paesi come Germania e Inghilterra che hanno difeso bene il settore) e la capacità produttiva è scesa del 25 per cento, tra chiusure di aziende e riduzione di impianti. In questo scenario i fatturati delle imprese meccaniche si sono dimezzati: un -50 per cento che è il risultato del calo di produzione e vendite e della compressione dei prezzi per poter rimanere sui mercati. Il riflesso sull'occupazione è stato drammatico: nei sei anni della "grande crisi" l'industria meccanica provinciale ha utilizzato 14 milioni e 600 mila ore di cassa integrazione straordinaria: se in media ogni lavoratore fa 1.560 ore l'anno quel numero significa 8.800 addetti coinvolti in ristrutturazioni, chiusure o fallimenti. Come dire: posti di lavoro "bruciati". L'unico dato meno negativo - e che in qualche modo tiene e salva il settore - è quello dell'export: nonostante il saldo di periodo negativo con il -24 per cento, da un paio d'anni si registrano indicatori positivi.
È il quadro "spietato" del comparto produttivo che sul territorio pesa per la metà dell'intero sistema industriale con un numero di addetti complessivo di circa 35 mila unità. I dati e le prospettive future del comparto sono emersi dall'incontro che la Sezione meccanica di Unindustria ha presentato ieri a Pordenone, in contemporanea a Federmeccanica nazionale e a sessanta sezioni territoriali in giro per l'Italia. Ma una delle province più "metalmeccaniche" italiane (patria dell'elettrodomestico oggi in declino) non sta certo a guardare. «L'impresa - ha detto il presidente Gianfranco Bisaro - è una fucina di attività e di interesse sociale. Una selezione che ci ha però lasciato tante eccellenze che noi dobbiamo cercare di mettere insieme. Gli imprenditori più visionari, capaci e innovatori devono essere da guida. Bisogna chiamare tutti al fare per creare le imprese del futuro. I punti chiave? Tante competenze, nuovi talenti, aggregazioni di filiere per andare più competitivi e più forti su nuovi mercati. Sapendo che tutto sta cambiando e che oggi il Pil cresce inesorabilmente in altre aree del mondo. Ed è anche lì che noi dobbiamo essere presenti». È come procedere dopo la bufera? «Le imprese che sanno resistere - sottolinea Paolo Candotti, direttore di Unindustria - si riorganizzano ed esportano il più possibile. E contribuiscono a fare cambiare pelle al settore: imprese che dalla meccanica tradizionale sono passate a settori più evoluti come l'aeronautico e il biomedicale». Inosomma, il saper fare che non va disperso ma evolve creando nuove opportunità.
© riproduzione riservata

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci