Buoni pasto, formula indigesta

Martedì 26 Maggio 2015
Il mercato dei buoni pasto è in continua ascesa e ha raggiunto anche in Friuli Venezia Giulia una certa consistenza, sia nel settore privato sia in quello pubblico. Di recente l'amministrazione regionale ha introdotto il buono pasto in sostituzione dell'indennità di mensa in busta paga per i propri dipendenti. Il buono cartaceo, del valore di 7 euro, può essere utilizzato negli esercizi convenzionati. Questo passaggio dall'indennità ai buoni dovrebbe portare in Fvg ad un risparmio di 2,5 milioni, secondo quanto dichiarato dalla presidente Debora Serracchiani. Il buono, infatti, equivale più o meno al netto dell'ex indennità di mensa e il risparmio dovrebbe aggirarsi intorno ai 4 euro per pasto, senza alcuna penalizzazione per i dipendenti.
Ma l'operazione ha portato ad una riduzione dello stipendio che si ripercuoterà su pensioni e Tfr. Se poi si adotteranno i buoni elettronici, cosa molto probabile visto che il Governo ha provveduto alla loro detassazione fino a 7 euro, la capacità di spesa potrebbe ridursi ancora, perché il tesserino dovrà essere utilizzato giornalmente e gli esercenti dotati di macchinetta sono pochi.
Dove è già funzionante, il buono elettronico "costringe" i dipendenti a consumare la cifra giornaliera, magari al bar dell'azienda sanitaria, comprando biscotti e cioccolate per i figli, naturalmente ad un prezzo anche tre volte superiore a quello del supermercato. Le società emittenti vendono i buoni cartacei in cambio di denaro contante. Quella che si è aggiudicata il lotto pubblico di Fvg, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna e Toscana, è la Day Ristoservice. Sul territorio nazionale sono sei i gruppi che controllano quasi tutto il mercato.
Le società emittenti hanno anche il compito di individuare gli esercizi da convenzionare. Più ampia è la platea, più le società si rafforzano. Quello dei buoni pasto è perciò un mercato ricco, cresciuto grazie all'idea che l'indennità di mensa in busta paga è un diritto troppo caro, sia per i dipendenti del pubblico che del privato. Però, se viene trasformato in "diritto di spendere" negli esercizi convenzionati, allora funziona. Ma non per tutti allo stesso modo.
Il buono è un foglio di carta, non una banconota. Prendiamo il caso recente dei dipendenti regionali, ma il sistema è lo stesso anche nel settore privato. La pseudo-banconota di 7 euro si riduce subito a 6,42.
Infatti, su ogni buono i lavoratori pagheranno 58 centesimi di tassazione a conguaglio. Per l'Amministrazione vale invece 5,88 perché la società ha applicato sui 7 euro lo sconto del 15,86% per aggiudicarsi il servizio.
Ma il ribasso va recuperato. Come? Con le commissioni applicate agli esercenti: se il ristorante chiede il rimborso dei buoni alla società emittente entro 15 giorni, gli verrà trattenuto circa il 10% o più su ogni buono. Invece se il pagamento è a 2 o 3 mesi, la commissione diminuisce. Altra fonte di profitto sono i buoni scaduti o deteriorati che all'esercente non vengono pagati, mentre chi li emette incassa comunque.
Quindi, il prezzo più basso spuntato dal pubblico o dal privato non si traduce in un vantaggio né per i dipendenti, né per gli esercenti. Le uniche a stare tranquille sono le società che li emettono.
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