«Voleva uccidere», sedici anni di carcere al venetista Franceschi

Sabato 12 Aprile 2014
Sedici anni e quindici giorni di reclusione. É la condanna inflitta, ieri in primo grado, al venetista Luciano Franceschi. L'indipendentista che l'11 febbraio dell'anno scorso scaricò due colpi di pistola contro Pierluigi Gambarotto, il direttore della banca Credito Cooperativo Alta Padovana. Inoltre il giudice Nicoletta De Nardus ha condannato Franceschi a risarcire con 60mila euro Gambarotto e con 15mila euro l'istituto di credito. Infine al venetista è stata confiscata tutta l'artiglieria già sequestrata e che prima del tentato omicidio era in suo possesso. Il pm Marco Peraro aveva chiesto dodici anni e sei mesi, ma il giudice ha contestato a Franceschi la premeditazione. Nella motivazione infatti è scritto "...Ha sparato a Gambarotto da vicino colpendolo al torace e sfiorando per soli 2 cm il cuore, condotta obiettivamente idonea a provocare la morte dello stesso...". Franceschi è anche sotto processo a Treviso per resistenza e oltraggio contro gli agenti penitenziari del carcere.
IL FATTO - Quel lunedì mattina dell'11 febbraio del 2013 Luciano Franceschi, il commerciante di Borgoricco, è entrato alla Bcc di Campodarsego con una pistola calibro 7.65 carica, ma sotto al giaccone aveva già pronti altri due caricatori. E poi aveva tre taniche di benzina e una valigia piena di vestiti ed effetti personali, ritrovati dai carabinieri all'interno della sua Fiat Panda posteggiata davanti all'istituto di credito. Franceschi, è stato bloccato da quattro dipendenti della filiale dopo avere ferito all'addome con due colpi a bruciapelo il direttore della banca Pierluigi Gambarotto. Quando i carabinieri sono arrivati lo hanno trovato con le braccia immobilizzate ma con la semiautomatica ancora in mano. Il maresciallo della stazione di Campodarsego è riuscito a disarmarlo. Franceschi, una volta condotto nella cella di sicurezza della caserma di Cittadella, ha dichiarato, da presidente del governo della Repubblica Veneta (si era auto proclamato nel lontano settembre del 2000) di non riconoscere la magistratura dello Stato italiano.
IL RETROSCENA - Franceschi si è presentato ieri in aula indossando la divisa da guardia padana. Aveva minacciato di entrare in tribunale in mutande, poi dopo una mirata mediazione del giudice De Nardus è arrivato vestito con un abito azzurro, con una sorta di gradi sulle spalle e delle mostrine al petto. Capello corto e barba lunga ma curata.
LE DICHIARAZIONI SPONTANEE - Appena il suo legale, l'avvocato Carlo Mursia, ha terminato l'arringa difensiva, Franceschi, l'indipendentista, ha voluto rilasciare alla corte alcune dichiarazioni spontanee. «Ricuso il mio avvocato che ringrazio, ma voglio difendermi da solo. Inoltre ricuso il collegio giudicante e invoco la competenza giuridica del Tribunale del popolo veneto». Quindi ha proseguito: «Mi sono presentato in banca come pubblico ufficiale e non volevo fare del male a nessuno. Ero andato per chiedere giustizia per il mio amico imprenditore Giancarlo Perin morto suicida». Poi Franceschi ha mostrato al giudice un giubbetto: «Questo lo indossavo la mattina dell'undici febbraio ed è sporco del mio sangue. Sono stato messo in cella con due africani pazzi, che mi hanno riempito di botte. Avevo un profondo taglio in testa». La sua difesa incentrata sul popolo veneto e sulla sua innocenza, non è stata però ascoltata da nessun venetista. Franceschi è stato abbandonato dai suoi. Nessun indipendentista ha manifestato all'esterno del tribunale in suo favore. E nessuno è entrato in aula. Presente c'era solo il figlio, che durante la sentenza è rimasto seduto per poi accennare un veloce sguardo al padre mentre veniva portato via dagli agenti penitenziari.