Valando, confermata la condanna

Venerdì 18 Aprile 2014
Il pregiudizio di stampo razzista ha retto anche al vaglio dei giudici di secondo grado. La Corte d'Appello di Venezia ha confermato interamente la condanna inflitta dal Tribunale di Padova a Dolores Valandro, l'ex consigliere leghista al quartiere Arcella accusata di istigazione a commettere atti di violenza sessuale per motivi razziali, dopo la pubblicazione della frase choc contro l'allora ministra congolese dell'Integrazione Cecile Kyenge pubblicata sul suo profilo Facebook: «Ma mai nessuno che se la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato». Un anno e un mese di reclusione, con la sospensione condizionale, e tre anni di divieto a partecipare a campagne elettorali e a manifestazioni di propaganda politica. La Corte d'Appello non ha ritenuto di accogliere i motivi di appello e di riformare la sentenza, aderendo alle richieste della Procura generale che aveva sollecitato la conferma del verdetto. Inutilmente l'avvocato Massimiliano Nicolai ha cercato di convincere i giudici dell'insussistenza dei motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e dell'insussistenza dell'istigazione alla violenza. Ci vorranno sessanta giorni prima di conoscere le motivazioni che hanno spinto i giudici veneziani a confermare la sentenza del Tribunale di Padova ma è probabile che l'impianto accusatorio costruito dal pubblico ministero Sergio Dini attorno al pregiudizio razzista abbia convinto la Corte. Alla base del comportamento tenuto dall'imputata ci sarebbe il ragionamento secondo cui una persona va valutata per alcune caratteristiche che si presumono fondamentali, quali appunto il colore della pelle o la mera provenienza geografica, e per quello che rappresenta e non invece per quello che fa. Nella sciagurata frase postata su Facebook da Dolores Valandro emergerebbero in maniera indiscutibile l'incitamento allo stupro e la provocazione alla violenza.
Non la pensa allo stesso modo l'avvocato Nicolai disposto a trascinare il caso anche davanti alla Suprema Corte. «Indipendentemente dalle motivazioni della sentenza che leggeremo più avanti - è la reazione a caldo del difensore di Dolores Valandro - facciamo fatica a capire la contestazione dell'accusa di razzismo nelle frasi postate su Facebook dalla mia assistita. Per questo faremo ricorso in Cassazione. Al termine del processo di secondo grado mi resta ancora una domanda senza risposta: dov'è il razzismo in quelle parole?».