Pennacchi racconta i fantasmi della guerra

Martedì 3 Febbraio 2015
La prima guerra mondiale raccontata da chi l'ha vissuta in prima linea, tra fango, neve, fame, sgomento e cognac: il nonno Bepi, giovanissimo bersagliere, è il protagonista dell'ultimo, coinvolgente spettacolo di Andrea Pennacchi, “Trincee – risveglio di primavera”. «Sono partito dai silenzi di chi aveva ricordi troppo dolorosi, popolati da fantasmi che mio nonno evocava chiamandoli per nome, per non dimenticare, e che mi hanno commosso, bambino, fino alle lacrime - racconta l'attore, autore e regista padovano – ho arricchito le suggestioni autobiografiche leggendo diari e lettere scritte dal fronte. Racconti frammentati da ricomporre per tirare fuori una storia, un insegnamento, il “consiglio della narrazione”. Solo autori come Gadda e Lussu sono riusciti a scrivere della grande guerra, forse perché non coinvolti in prima persona nel macello del Carso. Per me non è stato facile scegliere tra tanto materiale straordinario, compresi i racconti degli storici dell'altopiano di Asiago».
Tra i documenti più sconvolgenti, la lettera indirizzata al re, il “nano belva”, accusato di mandare al macello una nazione. Anonima, non arrivò mai al destinatario, bloccata dalla censura.
“Trincee” nasce dopo un anno di incontri e laboratori nelle scuole: «Il nostro Teatro Boxer con altre tre compagnie venete è stato chiamato da Arteven, con il sostegno della Regione, per entrare in duecento superiori. I ragazzi hanno accolto il tema della grande guerra con interesse ed entusiasmo: il centenario ci voleva!»
Sul palco, accanto a Pennacchi - tutto esaurito il Filarmonico di Piove di Sacco per il debutto, applausi a non finire - l'inseparabile Giorgio Gobbo, chitarra e voce, pochi ma toccanti gli accenni alle canzoni dei soldati, dagli alpini sull'Ortigara ai battaglioni scozzesi in battaglia sul fronte occidentale. Il fondale del palcoscenico prende vita durante lo spettacolo, dipinto in diretta da Vittorio Bustaffa: «Continua la collaborazione inaugurata con “Lacrime d'amianto” e la fabbrica: per evocare i fantasmi dei nostri soldati, Vittorio non poteva mancare».

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