Feriti e poi freddati con un colpo alla testa

Domenica 15 Giugno 2014
1974, Padova, primi giorni di giugno. Roberto Ognibene si presenta, dando un falso nome, alla sede del Msi di via Zabarella 24. Deve solo osservare e riferire, uno scout da ricognizione. La sortita va bene, poca gente, zero controlli, nessun ostacolo. Le sedi del Msi non erano affatto inviolabili: va dimostrato.
Qualche giorno dopo, il 17 giugno, nella sede ci sono solo due persone: Giuseppe Mazzola, carabiniere in pensione, bergamasco, 60 anni, una moglie e quattro figli, si occupa della posta e della contabilità della sede; e Graziano Giralucci, 29 anni, nato a Villanova di Camposampiero, sposato e padre di una bambina, agente di commercio in articoli sanitari, ex rugbista, uno dei fondatori del Cus Padova.
Sono le 9.30. Sul posto arriva un commando di cinque persone. Una resta in auto (Giorgio Semeria), un'altra funge da palo, all'esterno dello stabile (Martino Serafini), un'altra entra ma si ferma sulle scale, con una borsa che sarebbe dovuta servire a portare via i documenti prelevati negli uffici (Susanna Ronconi). Le ultime due (Fabrizio Pelli e lo stesso Roberto Ognibene) avvitano i silenziatori sulle pistole, una P38 e una Walther 7.65, ed entrano nella sede. Sotto la minaccia dei terroristi, Mazzola e Giralucci sono perquisiti e poi costretti a spostarsi in un'altra stanza. Per niente intimoriti, tentano di disarmare i terroristi: ne segue una furibonda colluttazione, con l'esplosione di alcuni colpi di pistola. Giralucci viene colpito alla spalla, Mazzola alla gamba destra. Feriti ma vivi, stesi al suolo, ormai inermi. Ma non basta. Vengono finiti con un colpo alla testa. Il commando si dilegua in fretta.
Mazzola e Giralucci furono le prime vittime delle Br. Il giorno dopo, l'assassinio venne rivendicato da una cellula brigatista con una telefonata alla sede di Padova de Il Gazzettino; due volantini vennero lasciati in altrettante cabine telefoniche di Milano e Padova: una grande scritta in stampatello maiuscolo “Brigate Rosse”, con al centro una stella a cinque punte asimmetriche, schiacciate.
Le Brigate Rosse erano ancora un oggetto sconosciuto, perfino negato. Tanto che per sei anni, spinti anche dalla stampa di sinistra, gli investigatori seguirono una fantomatica pista nera: l'omicidio nella sede del Msi poteva essere stato un regolamento all'interno dello stesso Movimento sociale. A Scienze Politiche comparve anche uno striscione in cui si giustificava l'accaduto come uno scontro tra fascisti.
Solo negli anni Ottanta l'inchiesta prese la giusta direzione. Arrivando ai dettagli grazie alla ricostruzione fatta da Susanna Ronconi, dissociata e pentita. Si chiarì la composizione del commando, ma nel frattempo Fabrizio Pelli era già morto per leucemia, a Milano.
Nel 1990 la Corte d'Assise condannò Ognibene a 18 anni (omicidio volontario), Ronconi e Semeria a 9 anni e 6 mesi, Serafini a 6 anni, un mese e 10 giorni (concorso anomalo in omicidio volontario). La stessa Corte riconobbe come ispiratori dell'azione Renato Curcio, Mario Moretti e Alberto Franceschini, condannati a dodici anni e otto mesi per concorso morale in omicidio. Il processo d'appello venne celebrato a Venezia dal 20 novembre 1991. Le pene di Curcio e Moretti furono elevate a 16 anni e due mesi, mentre per Franceschini la sentenza salì a 18 anni, due mesi e sette giorni. Ronconi, Semeria e Serafini vennero riconosciuti pienamente colpevoli dell'omicidio, e la pena fu aumentata a 12 anni per i primi e a sette anni e sei mesi per l'ultimo. Per Ognibene furono confermati i 18 anni.

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