Peghin: «Lo Sblocca-Italia è timido, spalma le poche

Lunedì 1 Settembre 2014
«E' timido. Rispetto agli annunci, "Sblocca Italia" è un provvedimento poco incisivo e nella vecchia logica della politica italiana dello "spalma il poco che c'è". Speriamo che l'autunno porti consiglio». Francesco Pegin, l'industriale padovano che guida la Fondazione Nordest, il think tank dell'imprenditoria triveneta è deluso, ma è anche pronto a concedere le attenuanti al governo Renzi.
«Mi aspettavo di più, considerate le premesse, e la situazione lo richiederebbe, ma le risorse sono scarse e hanno preferito spalmarle. Certo il confronto a livello territoriale è scoraggiante. Il ritorno in termini di Pil generato da un' infrastruttura nel Veneto è maggiore che in Sicilia, eppure la logica non è stata quella di privilegiare chi contribuisce più alla crescita. Mi sembra che il governo si sia mosso secondo le classiche pulsioni elettoralistiche. Invece che focalizzare le poche risorse sullo sviluppo, ha dato un po' a tutti. Come ha fatto con gli 80 euro».
Perchè gli 80 euro sono stati solo uno spottone per le elezioni europee?
«No, voglio dire che se le risorse sono scarse, come nella situazione attuale, sarebbe opportuno concentrarle dove l'intervento è più produttivo. Il problema dell'Italia è la competitività. Sarebbe stato meglio ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, le tasse sulle imprese che investono, invece che spendere 10 miliardi per mettere in tasca 80 euro a un po' di gente che poi non li ha usati per rilanciare i consumi»
Non c'è nulla che si salva dello Sblocca Italia?
«Qualcosa di buono c'è, come gli interventi per l'internazionalizzazione e sul made in Italy. Ma non ha un impatto strutturale»
E' la sburocratizzazione?
«Qui ho qualche perplessità. Vorrei capire come mai oltre la metà dei decreti non è operativa perché mancano i regolamenti attuativi. Oppure perché si continua legiferare ingigantendo il ginepraio di norme con il risultato che non solo le multinazionali se ne vano dall'Italia, ma le stesse imprese italiane ci pensano, perché trovano condizioni più favorevoli altrove. Non vedo questa grande rivoluzione antiburocratica. Manca l'annunciato taglio drastico delle lobby, delle rendite di posizione che si annidano nelle società partecipate dallo Stato e dagli enti locali. C'è poco da fare. Nessun governo, neanche quello di Renzi, per ora, è riuscito a fare una seria spendig review. La verità è che si tratta di eliminare privilegi e intaccare significativi bacini elettorali e non ci riescono».
Dunque sta finendo la luna di miele dell'imprenditoria nordestina con il governo Renzi?
«Ancora no. Constato che ci sono debolezze. Spero nell'autunno...»
Sarebbe?
«Il Jobs Act. Intanto vanno eliminate le rigidità introdotte dalla Fornero, una pessima legge. Poi bisogna inventare un quadro normativo che introduca più flessibilità, consenta di aumentare la produttività delle aziende...»
Via l'Art.18?
«Per carità, se ci incastriamo su questo punto ideologico, licenziamenti sì licenziamenti no, siamo finiti. Riformiamo i contratti, l'accesso al mercato del lavoro per i giovani. Per tonare ad investire le imprese hanno bisogno di un quadro normativo più semplice e chiaro. Con la consapevolezza che comunque non basterà. La vera partita si gioca in Europa. Se continuiamo con la politica tedesca del rigore, andiamo a fondo».
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