Papa Francesco gran tessitore dei lunghi negoziati di pace

Giovedì 18 Dicembre 2014
(Segue dalla prima pagina)

Una notizia di secondo piano, apparentemente marginale, eppure accolta dai diplomatici come un segnale di grande interesse, da non sottovalutare. Cuba aveva finalmente dato il permesso per la costruzione di una nuova chiesa sul suo territorio. Non accadeva da 55 anni. Anche se il progetto aveva il sostegno finanziario dei cattolici di Tampa, in Florida. Il miglioramento delle relazioni tra il Vaticano e il governo comunista era evidente a tutti: i permessi per la costruzione erano stati dati senza alcun problema dal governo, autorizzati da Castro in persona. «Era una chiara dimostrazione di una nuova fase, un miglioramento delle condizioni tra Chiesa e Stato» commenta Enriquez Lopez Oliva, professore di storia delle religioni all'Avana. Di lì a poco in Vaticano sarebbero state accolte due delegazioni, una cubana e l'altra americana. Per una intera mattinata diplomatici cubani e americani si tornavano a parlare.
L'incontro è bastato per gettare le basi per un cambio di prospettiva. Il sentiero della pace è lastricato di piccoli tasselli da infilare come perle. A fare da mediatore il Papa argentino. Gli Usa si erano rivolti a lui a gennaio, otto mesi prima. Durante un incontro tra Kerry e il cardinale Parolin era stato chiesto l'appoggio di Bergoglio per la liberazione di alcuni detenuti statunitensi. Uno di loro, Alan Gross, in cella da cinque anni con l'accusa di spionaggio, proprio ieri è salito a bordo di un aereo governativo ed è stato riportato negli Stati Uniti. La chiave di volta per comprendere che tra Washington e l'Avana la musica è cambiata è la volontà di intavolare normali relazioni diplomatiche. Lo storico annuncio è arrivato come un dono nel giorno del 78esimo compleanno di Francesco. Un bel regalo. In serata, dopo i discorsi di Raoul Castro e di Obama, la Segreteria di Stato vaticana ha diffuso un comunicato. Il pontefice ha espresso il «più vivo compiacimento per la decisione dei due governi» decisi a superare «nell'interesse dei rispettivi cittadini, le difficoltà che hanno segnato la loro storia recente».
Il percorso di conciliazione, in questi mesi, ha portato Bergoglio a prendere carta e penna per appellarsi direttamente ai due presidenti, facendo leva sul comune senso di umanità, come se fossero due fratelli, invitandoli a guardarsi negli occhi, a risolvere «questioni umanitarie d'interesse comune». Bisognava cominciare dal problema dei carcerati. Quello poteva essere il passaggio iniziale «per avviare una nuova fase nei rapporti tra le due parti». Così la Santa Sede, ad ottobre, ha ospitato i colloqui di pace, offrendo i suoi buoni offici per favorire comprensione, fiducia, un dialogo costruttivo su temi delicati, dal quale sono scaturite soluzioni soddisfacenti per entrambe le parti. Naturalmente la missione di Bergoglio non termina qui. «La Santa Sede continuerà ad assicurare il proprio appoggio alle iniziative che le due nazioni intraprenderanno per incrementare le relazioni bilaterali e favorire il benessere dei rispettivi cittadini». Resta da definire la questione dell'embargo. Il New York Times ha scritto che i negoziati andavano avanti da 18 mesi.
Franca Giansoldati

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