L'unica concessione: faremo comunque il referendum

Venerdì 25 Luglio 2014
L'unica concessione: faremo comunque il referendum
ROMA - La maggioranza ottiene il contingentamento dei tempi sulle riforme in Senato, dopo la preoccupazione espressa mercoledì dal Capo dello Stato al presidente del Senato Grasso. Le riforme saranno dunque votate entro l'8 agosto e le opposizioni insorgono e decidono all'istante un'azione eclatante salendo insieme al Quirinale per protestare con il Capo dello Stato, dopo un corteo per le vie di Roma di circa un centinaio di parlamentari. L'indice è puntato contro la "tagliola" ottenuta della maggioranza che limita il dibattito in aula. Il Capo dello Stato, apre il Quirinale (la casa degli italiani), ma preferisce tenersi comunque distante («il presidente è indisposto»), lasciando il compito di padrone di casa al segretario generale, Donato Marra.
La minoranza M5s, Lega, e Fratelli d'Italia esprime con questo atto tutti i suoi mal di pancia anti-riforme targate Renzi inaugurando una nuova strategia, passando da un'ostruzionismo rigido in Aula ad un confronto sul merito, che lambisce anche la piazza e chiama in causa direttamente il Colle per «strappare» le modifiche al governo. Il quale però non intende recedere dal suo «principio non negoziabile» e cioè un Senato che rappresenti le Regioni e non sia più un organismo politico eletto dai cittadini. Un concetto sintetizzato prima dal ministro Maria Elena Boschi («nessun stravolgimento, ma niente alibi, faremo comunque il referendum previsto dalla Costituzione») e poi, con durezza, dal premier che conferma la ferrea volontà di «non mollare» di non avere intenzione di trattare e di essere determinato ad andare fino in fondo contro qualsiasi ostruzionismo, politico e non. «In Italia c'è un gruppo di persone che dice no da sempre, e noi senza urlare diciamo "sì". Piaccia o non piaccia, le riforme le faremo!». Il premier insiste: «Ho preso un impegno con i cittadini, quel 40,8%, che mi hanno votato. Non mi faccio fermare, la riforma del Senato è solo l'antipasto delle riforme che vogliamo fare».
La preoccupazione di Napolitano, espressa mercoledì a Grasso, per il blocco delle riforme a causa dell'ostruzionismo, ha avuto come effetto la richiesta, da parte del capogruppo del Pd Luigi Zanda di una conferenza dei capigruppo, dove gli oltranzisti delle riforme hanno chiesto il contingentamento dei tempi. Sostegno di Maurizio Sacconi di Ncd: «La democrazia tutela i diritti delle minoranze ma anche quelli della maggioranza».
A quel punto, i partiti che osteggiano le riforme si riuniscono, su richiesta di Loredana De Petris (Sel), che con i suoi 5.900 emendamenti si è guadagnato la leadership degli oppositori, imponendo a tutti l'ostruzionismo, anche a M5s o ai dissidenti del Pd, che avevano presentato pochi emendamenti puntando piuttosto su qualche «scivolone» della maggioranza su qualche emendamento insidioso. Anche la Lega, con pochi emendamenti, puntava a ottenere modifiche definite. Dalla riunione esce una lettera con l'indicazione di alcuni punti su cui aprire il confronto: immunità, norme sul referendum, mantenimento di un Senato politico eletto dai cittadini. La lettera viene consegnata al ministro Boschi disponibile, a nome del governo, «ad approfondire» alcuni temi, ma non dietro al ricatto» di 8.000 emendamenti di cui ha chiesto una «sostanziosa» riduzione. Cosa che non c'è stata e che ha avuto come risposta il contingentamento dei tempi, che porterà al voto finale l'8 agosto.
In aula De Petris, e i capigruppo di Lega e M5s, hanno avuto parole di fuoco ma non hanno opposto resistenza. Quando tre giorni fa fu deciso un calendario che imponeva sedute no stop 9-24, sette giorni su sette, i senatori delle minoranze avevano proposto ciascuno un calendario alternativo, e tutti erano stati votati. Ieri non è avvenuto nulla del genere. Ora, la speranza della maggioranza, e l'auspicio espresso in aula dal correlatore Roberto Calderoli, è che le minoranze tolgano dal tavolo le proposte di modifica ostruzionistiche e si confrontino sul merito di quelle quattro-cinque questioni aperte. Un appello in tal senso è stato rivolto dai dissidenti del Pd, Chiti e Corsini. Su diversi punti indicati dalla lettera delle minoranze, governo e maggioranza sono disponibili a trattare.

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