L'ira di Renzi: non finirò come Prodi

Venerdì 1 Agosto 2014
L'ira di Renzi: non finirò come Prodi
ROMA - «A me settembre non fa paura». Matteo Renzi scandisce le parole davanti alla direzione Pd. L'economia, ammette, va peggio del previsto: «Non siamo in condizioni di avere quel percorso virtuoso che immaginavamo». Ma subito chiarisce che il governo non si lascia intimorire ed è convinto di poter «guidare la ripresa dell'Europa». E di poter finire, «una alla volta», tutte le riforme che servono all'Italia. L'importante, dice ai dem nel giorno in cui ricompaiono i franchi tiratori al Senato, è conservare la «calma».
Non inizia sotto i migliori auspici, l'ultimo giorno di luglio. Mentre a Palazzo Chigi Renzi presenzia alla firma di un accordo da 2,1 miliardi tra Cassa depositi e prestiti e i cinesi di State Grid, da Palazzo Madama giunge la notizia che il governo è stato battuto su un emendamento della Lega che restituisce al Senato la competenza sui temi etici, negata dal ddl Boschi. L'incidente non snatura la riforma, dunque, spiega Renzi, si potrà rimediare alla Camera. Ma «lascia l'amaro in bocca» il fatto che i dissenzienti abbiano colpito «incappucciati», nascosti «dietro il voto segreto»: dimostra che non hanno il «coraggio». Ma nemmeno, afferma il premier, la forza di fargli perdere la pazienza con le loro «provocazioni».
Non siamo di fronte, assicura il segretario, al «remake dei 101» del partito democratico che affossarono la candidatura di Romano Prodi nelle votazioni per l'elezione del capo del Stato nella primavera del 2013 con relativo psicodramma e "licenziamento" di Pieluigi Bersani. Anche perché la convinzione è che la maggior parte dei franchi tiratori vadano cercati non tanto nel Pd quanto tra gli altri partiti "contraenti" del patto del Nazareno. In ogni caso, l'invito è «alla calma - dice Renzi al suo Pd - perché una alla volta finiamo tutte le riforme», dalla giustizia, al lavoro, al fisco. A partire da quelle istituzionali: «Non molliamo di un centimetro», proclama il premier. E ottiene dalla direzione Pd il mandato a riaprire la trattativa sull'Italicum per alzare le soglie di sbarramento e modificare le liste bloccate (con preferenze o collegi).
«Non vogliamo evitare il "canguro" ma la lumaca», scherza ostentando tranquillità sulla partita delle riforme. Ma anche determinazione, perché la politica deve tornare in primo piano e riformare se stessa per poi «andare dai tecnici a dire che non si può cedere al ricatto di tecnocrazia e burocrazia». Più in generale, sono l'economia e i dati altalenanti che arrivano ogni giorno a non far stare tranquillo il premier. Dopo aver ammesso, per la seconda volta in pochi giorni, che la «crescita è decisamente più bassa di quello che ci aspettavamo», aggiunge: «Non siamo in condizioni di avere il percorso virtuoso che avevamo immaginato». Per affrontare al meglio la sfida, Renzi, dopo aver scelto un team di economisti ad affiancarlo, annuncia la nascita di una task force tra Palazzo Chigi e i gruppi parlamentari del Pd di Camera e Senato, per migliorare quel «coordinamento» sui provvedimenti che ha mostrato falle sulle riforme isituzionali e non solo.
Intanto, è allarme conti anche per il Pd: dopo lo stop ai fondi pubblici «bisogna che un pò di cene di finanziamento privato le facciano il presidente del Consiglio e anche i parlamentari».

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