«Ho paura per me e per il mio bimbo scomparso»

Giovedì 28 Agosto 2014
«Ho paura, temo per la mia vita e per i miei famigliari non pubblicate le mie foto e nemmeno quelle del mio bambino». Risponde a monosillabi la moglie di Ismar Mesinovic, morto a 36 anni in Siria, all'inizio dell'anno in combattimento dopo aver aderito alla Jihad. Dal 20 dicembre scorso la moglie, ora vedova, Lidia Solano Herrera non ha più notizie del suo bambino di quasi 3 anni, Ismail David Mesinovic, portato in Siria dal padre. «Compirà gli anni - racconta la donna - il prossimo 4 settembre, ma non potrò fargli gli auguri, non potrò abbracciarlo, a meno che non accada un miracolo». Lidia Solano Herrera ha fiducia nelle forze dell'ordine che da quando il piccolo è scomparso stanno cercando di fare di tutto per riportarlo a casa alla sua mamma.
La donna, che prima viveva con il marito a Longarone, ora sta a Ponte nelle Alpi a un indirizzo che non vuole svelare. «Non posso - dice con un filo di voce - ho paura. So che dovrei parlare con voi giornalisti e dare le foto del mio bambino, che forse questo potrebbe aiutare a ritrovarlo, ma è troppo pericoloso». Ma dice di non aver mai subito minacce, di non aver mai visto amici "strani" e fanatici del marito e di non averlo mai sentito parlare di Jihad o del desiderio di andare in Siria a combattere, e nemmeno d averlo visto con armi.
I coniugi Mesinovic si erano conosciuti nel 2011 a Belluno. Lui originario di Doboj, città della Bosnia Herzegovina, lei cubana. Lui operaio modello, lei lavoratrice instancabile come badante e donna di servizio. Resta incinta, si sposano: lei si converte all'islam su volere di lui. Era convinta? «Quando si ama, si fanno cose...». Il 4 settembre 2011 nasce il piccolo: viene chiamato Ismail David. Lo ha voluto lui? «No - dice la donna - il nome mi è arrivato in sogno. Era Ismail Davide, ma Davide è un nome cristiano e lui ha voluto David». Lei va a Cuba porta il figlioletto a far vedere ai suoi famigliari. Poi la resa dei conti: lui chiede lo stesso, anche lui vuole portare il figlio in Bosnia dai genitori. «Sono partiti in auto per le vacanze di Natale 2013 - spiega Lidia - il 20 dicembre ho sentito il bambino, poi non ho più saputo nulla». Ad Aleppo l'uomo morirà combattendo per la Jihad: del bambino non si sa più nulla. Gli stessi parenti bosniaci lo hanno cercato. Probabilmente il padre lo ha portato in Siria. «Vorrei anche farmi assistere da un avvocato, ma costa», prosegue. La donna lavora come donna di servizio in una famiglia.
Non ci sono state perquisizioni nella sua abitazione da parte di forze dell'ordine. Lidia dice di essere riuscita a andare avanti anche grazie al supporto del presidente del centro culturale islamico di Ponte nelle Alpi. Non ha cambiato religione dopo quanto accaduto? «Non si cambia la fede, quello in cui si crede», conclude.
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