Esuli giuliano-dalmati, niente più risarcimenti

Martedì 8 Aprile 2014
Proprio mentre Simone Cristicchi commuove le platee dei teatri del Nordest e del Paese con "Magazzino 18", che narra la drammatica epopea dell'Esodo, arriva una nuova e cocente beffa per gli esuli giuliano-dalmati e per i loro eredi: l'Italia non deve un solo euro di risarcimento in più per i beni abbandonati nelle terre perdute con la Seconda guerra mondiale rispetto alle miserie stabilite dagli accordi finanziari connessi alle intese internazionali. Lo sancisce la Corte di cassazione a Sezioni unite, decidendo su un ricorso presentato da alcune famiglie istriane al Tribunale civile di Trieste e respinto sia in primo grado che in appello. Il caso specifico riguardava esuli dal territorio dell'ex Zona B amministrata dalla Jugoslavia di Tito dopo la fine delle ostilità (Trieste era Zona A): la Corte ha stabilito che gli indennizzi decisi con il Trattato di Osimo del 1975 sono e restano gli unici, pur se considerati irrisori da chi aveva perduto ogni cosa optando per l'esilio nella Patria italiana. Patria che dopo il periodo dolente dei campi profughi e dei primi smistamenti in strutture più stabili, non si è mai rivelata "madre" affettuosa, al punto che secondo una stima dell'Unione degli Istriani oltre il 90% del valore attualizzato dei beni abbandonati non è mai stato risarcito.
La Cassazione afferma il principio che nulla di tecnicamente risarcitorio sia dovuto dallo Stato italiano, in quanto la lesione del diritto di proprietà non fu opera italiana ma del regime jugoslavo. Tale stato di cose - secondo la Suprema Corte - non limita l'esercizio del diritto dello Stato di quantificare come meglio crede l'entità delle somme da riconoscere». La questione è complessa e molteplice. Un primo regime risarcitorio fu stabilito dopo l'accordo di pace del 1947, che gettò centinaia di migliaia di istriani, fiumani e dalmati nella disperazione poiché cancellava la speranza di non perdere del tutto l'italianità della propria terra. ««Questa sentenza dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, che lo Stato italiano ha truffato gli esuli. Nel '48 - spiega il presidente dell'Unione degli istriani, Massimiliano Lacota - l'Italia raggiunse a Belgrado una serie di intese economiche che prevedevano la raccolta a Roma delle disponibilità a cedere i propri beni alla Jugoslavia. In cambio lo Stato italiano s'impegnava a risarcire le famiglie che firmavano per la cessione». Detta così, sembra una condizione di sufficiente equità. Ma le cose andarono diversamente: «Le carte predisposte dall'Italia per i suoi figli esuli erano generiche, non fissavano cifre e garanzie», col risultato che «ancora oggi i più aspettano i soldi o hanno incassato miserie». Stesso discorso per le previsioni dettate dal Trattato di Osimo, che ha trasformato in via definitiva le ex Zone A e B in Jugoslavia (poi Slovenia e Croazia) e Italia, formalizzando oltretutto soltanto allora la sovranità italiana su Trieste.
«Non solo: gli indennizzi non sono stati mai aggiornati se non di spiccioli - accusa Lacota - al punto che ancor oggi una licenza commerciale a Capodistria viene valutata 80 euro. E a una famiglia istriana sono stati proposti 350 euro per una grande bottega fabbrile. Hanno rifiutato per dignità, per non insultare se stessi e i propri morti».
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