Yanis, il marxista che prepara la "fuga" nell'eldorado Usa

Martedì 30 Giugno 2015
ATENE - «Mollo e me ne vado in America. Dove farò un sacco di soldi». Yanis Varoufakis, il ministro calvo e sexy, la super star della tragedia greca in sembianze da duro alla Bruce Willis, è un tipo così, molto sicuro di sé. L'altro giorno lo hanno fischiato e lui: «Trasformerò i vostri fischi in applausi». Ieri lo hanno applaudito, mentre passava in piazza Syntagma, e lui con sorriso da attore: «Venceremos». L'altra notte, rincasando a bordo della sua moto, due ragazzi lo hanno incontrato e gli hanno detto a nome dei greci: «Non è che ci stai prendendo per il culo?». E lui ha risposto con un altro sorriso. La catastrofe è già qui ma Varoufakis il combat non fa che ripetere a tutti: «Sono ottimista». Forse perché sa che dopo il referendum di domenica prossima, subito o più in là per salvare le apparenze, se ne andrà Oltreoceano e Grexit o non Grexit saranno fatti del popolo greco e di Tsipras, con cui si sopportano e non si amano più, salvarsi o perire. Lui, sempre al centro della scena, ma ormai un po' di lato, si autodefinisce «intellettuale appassionato di estetica». E siccome nell'estetica del ribelle la ricca casa pluriterrazzata con vista sul Partenone non rientra granché, ha da poco cambiato abitazione. Quella era del suocero, il facoltoso papà della moglie simil-pariolina, la bella e bionda Danae Stratou, quest'altra invece è un appartamento con pianoforte ma senza atmosfera alto borghese, a pochi passi da piazza Syntagma, il centro del potere e della rivoluzione. Agli amici il ministro-economista-marxista innamorato delle «contraddizioni del marxismo», anche delle proprie, ama ripetere, tra un pesce ben cucinato, un'insalata e un bicchiere di vino di Santorini: «Grazie alla mia celebrità, quando me ne torno in America dopo il referendum, le lezioni nelle università me le pagheranno molto più di prima».
Lui un po' è Yanis il duro, che si esalta nel crearsi nemici, e un po' è Alice nel paese delle meraviglie. Da cinque mesi i greci si chiedono: è un profeta o un pazzo? Gli amici che lo conoscono bene non si stupiscono delle sue performance da ministro e dicono: non ne azzecca una. «Mai chiuderemo le banche», aveva detto l'altro giorno, alla vigilia della chiusura delle banche decisa dal governo di cui fa parte. E prima ancora: «Se si fa il referendum sull'accordo con i creditori, sarà la fine». Poi il referendum è stato deciso e lui ne è uno degli sponsor più convinti. Osannato all'inizio della rivoluzione come fosse uno dei Beatles, all'inizio dell'involuzione di Varoufakis molti sono portati a dire: tanto fumo e poco arrosto. Petros Markaris, il Camilleri greco, lo ha definito un «fanfarone». Quando ha detto che il 5 giugno la Grecia avrebbe pagato i debiti con il Fmi, il suo governo lo ha smentito. Ma il narcisismo è la sua corazza ed è cosi narcisista Varoufakis che all'interno di questa sua forza-debolezza sembra non rendersi conto che il popolo è in ostaggio di un referendum che è il frutto di un integralismo che colleghi di governo più realistici e di scuola, come Dragasakis, stanno soffrendo. Varoufakis aveva detto a Tsipras che, se fosse stato estromesso dai negoziati con l'Europa, avrebbe creato un partito suo. Ma ancora non lo ha fatto. Optando per un'altra linea: la Varoufexit. (m.a.)
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