Ucciso durante un comizio il capo degli avvocati curdi

Lunedì 14 Dicembre 2015
Ucciso durante un comizio il capo degli avvocati curdi
ISTANBUL - «Non vogliamo armi, scontri, operazioni in quest'area, che ha ospitato così tante civiltà». Le ultime parole prima di essere ucciso, l'avvocato Tahir Elci le pronuncia accanto al Minareto dai quattro piedi, gioiello della capitale curda Diyarbakir crivellato di pallottole nei recenti scontri tra esercito turco e Pkk. Alle 11 del mattino, la conferenza stampa in cui chiede di porre fine alle violenze viene interrotta da colpi di pistola. Il capo degli avvocati curdi locali, famoso in Turchia per le sue battaglie a difesa dei diritti umani, resta a terra colpito da una pallottola alla nuca. Una sparatoria nel cuore del centro storico di Sur in cui vengono uccisi due poliziotti, mentre un altro agente e un giornalista rimangono feriti. L'agguato sciocca la Turchia, ripiombata da luglio in un conflitto con il Pkk che ha già fatto centinaia di morti.
«LOTTA AL TERRORISMO» - «Questo incidente mostra quanto sia nel giusto la Turchia nella sua lotta determinata contro il terrorismo» curdo, reagisce subito il presidente Recep Tayyip Erdogan. La zona della sparatoria viene messa sotto coprifuoco, come già tante altre parti del sud-est a maggioranza curda. «Su questo incidente verrà fatta luce», promette il premier Ahmet Davutoglu, che però non si sbilancia sul movente: «Una possibilità è che gli aggressori lo abbiano assassinato, una seconda è che sia stato preso in mezzo a un fuoco incrociato». I ministri dell'Interno e della Giustizia assegnano l'inchiesta a un team di 4 ispettori e spiegano che i colpi sono giunti da due persone a un centinaio di metri di distanza, seguiti dal fuoco di risposta della polizia. «È un attacco all'unità della nostra nazione», è la loro condanna. Ma la rabbia dei curdi esplode. A Istanbul e Diyarbakir le manifestazioni organizzate per ricordarlo e protestare contro il governo di Ankara vengono disperse dalla polizia a colpi di lacrimogeni e cannoni ad acqua.
LE MINACCE - «Anche se alcune delle sue azioni si avvicinano al terrorismo - sosteneva Elci - il Pkk è un movimento politico armato che ha delle serie rivendicazioni e beneficia di un grosso sostegno popolare». Dichiarazioni che gli erano valse diverse minacce di morte e avrebbero potuto costargli fino a 7 anni e mezzo di carcere, ma di cui non si era pentito: «Le mie parole non possono essere un crimine». A Diyarbakir la tensione è alle stelle da settimane. Solo domenica scorsa, un colpo di cui non è stata chiarita l'origine aveva raggiunto l'auto blindata del leader del partito filo-curdo Hdp, Selahattin Demirtas. In Turchia parole di cordoglio e condanna arrivano dai maggiori partiti politici. Ma l'eco di questo delitto, che rischia di infiammare ulteriormente il conflitto curdo, va oltre. L'ambasciatore Usa ad Ankara, John Bass, si dice «scioccato e profondamente addolorato» per l'uccisione di quello che definisce un «campione di quanti cercano un futuro in cui i cittadini possano vivere in pace e dignità». L'Unione delle associazioni degli avvocati turchi si reca in massa a Diyarbakir. Parole di solidarietà giungono anche dall'Italia, con il Consiglio Nazionale Forense che esprime una «ferma condanna del barbaro omicidio» di Elci, «un avvocato che ha dedicato la propria vita alla pace, alla fratellanza e alla difesa dei diritti umani».
V. Arn.

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