Rosy nella bufera «Mette a repentaglio la Costituzione»

Sabato 30 Maggio 2015
Rosy nella bufera «Mette a repentaglio la Costituzione»
È arrivata in commissione, ha tirato fuori la black list, «ecco i nomi con la relazione, ora scendo a fare la conferenza stampa», ha informato Rosy Bindi, ed è volata via. «A dire bugie si fa peccato», l'ha rincorsa il socialista Marco Di Lello che della commissione Antimafia è il segretario, non proprio l'ultimo arrivato, «nessuno ha saputo nulla né di nomi, né di relazioni, né di altro, ha fatto tutto da sola, neanche fossimo camerieri, è francamente offensivo». Da sola può darsi, non è detto, fatto sta che appena messo piede in commissione una battuta la pasionaria bianca l'ha fatta, «mi sono portata i rinforzi», l'hanno sentita dire, e ha indicato i parlamentari Luisa Bossa e Davide Mattiello, bersaniani. Un complotto interno al Pd per creare problemi alla vigilia del voto, far perdere e alla fine rovesciare quel Matteo Renzi sempre più vissuto e visto da una parte finora sempre minoritaria del Pd come un abusivo assetato di potere? C'è chi lo pensa e chi lo dice apertamente, come Stefano Esposito, senatore dem, in passato dalemiano: «Nel Pd è in corso una guerra intestina. Non è più un dibattito tra maggioranza e minoranza, non c'è più una minoranza, ma un gruppo di infiltrati al servizio di un altro progetto politico. Se si continua così, il Pd esplode. Meglio divorziare».
Ma l'anatema più pesante sulla Bindi viene dal Nazareno, per bocca dei due vice segretari Serracchiani e Guerini: «Ha trasformato una sua personale lotta politica in una lesione di diritti individuali, sbattendo in prima pagina i nomi di candidati e affermando contemporaneamente che tale giudizio non ha valore giuridico», in una parola, «Bindi ha messo a repentaglio la stessa Costituzione che è chiamata a difendere». Sulla Bindi che fa lotta politica personale e che piega l'Antimafia a vicende interne al Pd, insistono tutti i critici, renziani e non, che mettono sul banco degli imputati la pasionaria bianca. Spicca il presidente del Pd, Orfini: «Una iniziativa incredibile dal punto di vista istituzionale, giuridico e culturale, ci riporta indietro di secoli, ai processi in piazza». Martella Orfini: «In uno stato di diritto le sentenze le emette la magistratura, la candidabilità o meno di qualcuno la decide la legge. La Bindi ha deciso di piegare le istituzioni ai propri obiettivi di battaglia interna al Pd».
La vicenda è ormai andata oltre, molto oltre, la questione dei rottamati che si prendono la rivincita sui rottamatori, «qui si sta svolgendo un vero e proprio pre-congresso del Pd», urlava alla Camera uno dei renziani più arrabbiati. «Una parte del Pd fa campagna contro il partito. La tempistica adottata da Bindi è, come minimo, sospetta. C'è chi cerca la rivincita su Renzi cercando di far perdere le elezioni al Pd», la rasoiata di Roberto Giachetti, renziano ultrà. E in effetti, stando alle prese di posizione, si ripropongono gli schieramenti congressuali. Al grido di «invece di prendersela con De Luca, nel Pd se la prendono con Rosy», è sceso in campo il trio Cuperlo, Fassina, D'Attorre, e anche Bersani, con parole un po' meno bellicose quest'ultimo, «si sta applicando un codice di comportamento approvato da tutti, qui si sta sbandando, è il momento di riflettere». Il resto della minoranza, gli Speranza, Stumpo e altri hanno taciuto, un silenzio assordante che ha fatto scrivere all'Huffington che «Bindi è stata lasciata sola dalla stessa minoranza» (Enza Bruno Bossio, della minoranza e dell'Antimafia, si è apertamente dissociata: «Il garantismo è fondante del riformismo»). E lei, la pasionaria bianca? Per tutto il pomeriggio ha taciuto, o meglio, si è trattenuta, solo una stilettata contro Ernesto Carbone, renziano «energumeno» (definizione di D'Alema), «non mi abbasso a rispondergli». Ma quando ha visto il fuoco di fila, comandato dal duo Guerini-Serracchiani, non ce l'ha più fatta: «I vice segretari del mio partito mi hanno delegittimata. Non faccio lotta politica personale, ho solo applicato le regole che tutti ci siamo dati».
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