Pirati in fuga protetti dai clan

Sabato 30 Maggio 2015
I boss di via Cesare Lombroso contro i boss della Monachina, i serbi contro i montenegrini. L'odio e i rancori tra due famiglie di uno stesso clan di nomadi, gli Halilovic, starebbero paradossalmente facilitando la latitanza dei due giovani zingari ricercati per l'incidente di mercoledì sera a Primavalle. Il Tribunale dei Minori ieri ha deciso che la rom diciassettenne che era in macchina con loro resti in carcere con l'accusa di concorso in omicidio volontario. Ma chi ha deciso di aiutare i fuggitivi - la polizia è convinta che un aiuto ci sia e che sia potente - avrebbe altro per la testa.
I fuggiaschi, pur essendo imparentati, fanno capo a gruppi che si detestano e i gruppi si stanno interrogando. Quale dei fuggiaschi si consegnerà per primo e che cosa dirà? Ammetterà di essere stato alla guida della macchina che tre giorni fa ha sconvolto la periferia ovest o accuserà l'altro?
Le domande, di fronte al corpo straziato di una donna, la filippina Corazon Abordo, 44 anni, travolta e schiacciata come fuscello mentre tornava a casa dopo il lavoro, possono sembrare un'ignominia, ma nella logica criminale non lo sono affatto.
I nomadi che sarebbero stati a bordo dell'auto di via Mattia Battistini sono in fuga ormai da tre giorni. Ieri ci sono state ricerche perfino nell'alto Lazio e ai confini con l'Umbria, oltre a nuove perquisizioni nei campi rom della Monachina sull'Aurelia e di via Cesare Lombroso a Monte Mario. Ma gli uomini della Squadra Mobile di Roma, guidati da Luigi Silipo, sembrano convinti che i pirati di Primavalle siano nascosti accuratamente in un'abitazione nella Capitale. Le baracche di un accampamento non basterebbero a dargli rifugio e la latitanza nei campi è un'ipotesi più romantica che altro. I gruppi rivali, insomma, starebbero coprendo i pirati in attesa di poter fare la mossa vincente sulla scacchiera dei rancori e delle rivalità: salvare il fuggitivo più “vicino” al proprio clan (magari con una serie di testimonianze studiate ad arte) e mandar l'altro alla deriva verso il suo destino.
Uno dei ricercati è il compagno, anche lui giovanissimo, della minorenne zingara comparsa ieri al Tribunale dei Minori in via dei Bresciani. La coppia ha un bambino di dieci mesi. La ragazza, assistita da due avvocati, Valentino Brunetti e Carola Gugliotta, ha affrontato l'udienza di convalida del fermo e sperava di ottenere gli arresti domiciliari. Il giudice, invece, ha rigettato l'istanza e l'ha rimandata in carcere a Casal del Marmo. La nomade, secondo gli investigatori, si ostina a non raccontare con chiarezza chi fossero le persone a bordo della macchina e chi tra i ricercati - il padre del figlio o l'altro - fosse alla guida.
Mentre si gioca la partita attorno alla latitanza dei fuggitivi - ieri il padre di uno di loro è tornato di nuovo in Questura e di nuovo si è autoaccusato dell'incidente - il clima nella zona di via Mattia Battistini resta incandescente. Dopo la segnalazione di una donna, i carabinieri hanno trovato quattro bottiglie molotov nascoste in un cespuglio a duecento metri dal punto dell'incidente. Giovedì, all'indomani del sanguinoso investimento, c'è stata una rabbiosa manifestazione di cittadini che hanno chiesto giustizia e hanno duramente criticato le posizioni di chi «parla in modo semplicistico di integrazione». Gli ordigni incendiari, quasi certamente, sono collegati alla vicenda, anche perché la periferia ovest non è teatro abituale di manifestazioni. Un segnale lanciato da qualcuno, perché il clima, è quello che è. Lo avverte anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi: «Non saremo tranquilli - ha detto - finché quelle persone che hanno distrutto la vita di una donna non saranno assicurate alla galera».
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