PARTITI & politica

Mercoledì 29 Luglio 2015
L'ultima chiamata per la giunta Marino (griffata Matteo Orfini) arriva dopo una mattinata passata a cercare una donna da infilare in giunta (dopo una lunga serie di «no, grazie»). Obiettivo raggiunto alle 11.30 quando alla fine Luigina Di Liegro accetta, e si può acchittare la Sala delle Protomoteca per la conferenza stampa del primo pomeriggio. Inizia così la fase 2, post Mafia Capitale, quella dell'ultima chiamata. Che sembra avere, come il latte, anche una data di scadenza: sei mesi. Non a caso Marino nelle slide presenta una serie di iniziative (trasporti, viabilità, decoro, casa e rigenerazione urbana) da mettere in campo entro la fine dell'anno. La linea la dà la citazione di Abramo Lincoln che accompagna la cerimonia: «La cosa migliore del futuro è che arriva un giorno alla volta». Un modo per dire a Renzi, «inizia a giudicarci da oggi, sui fatti». Passo dopo passo. Insomma, la teoria dei «segnali da dare» invocata dal presidente del Consiglio in una lettera ad un quotidiano romano, inizia a prendere forma almeno nei proclami.
Le distanze personali tra «Ignazio» e «Matteo» rimangono: i due non si sono sentiti, come ammette il chirurgo dem, nemmeno nelle ore concitate del rimpasto. «Ma non ho mai avvertito su di me il pressing del governo o del Pd affinché mi dimetessi», dice il sindaco, durante una conferenza stampa molto gremita e con claque al seguito.
Il rimpasto si chiude con quattro nuove entrate: i parlamentari Marco Causi (Bilancio e vicesindaco) e Stefano Esposito (Trasporti), Marco Rossi Doria (Scuola e periferie) e Luigina Di Liegro (Turismo). Tre servono a rimpiazzare i dimissionari (Nieri, Improta e Scozzese) e una l'uscita di scena del Pd Paolo Masini. Sono passati due anni, Marino ha cambiato così 9 pedine su 12. Per gli amanti dei dati anagrafici non c'è un romano in giunta. La radiografia politica della squadra, invece, è a trazione Pd stile ditta, di renziano non ce n'è più uno. Anche Sel è fuori dai giochi. Tanto che già «invoca elezioni anticipate». Anche se Vendola frena un po': «Ogni volta che Marino andrà nella direzione del cambiamento avrà il sostegno determinato e determinante di Sel ma, in caso contrario, avremo le mani libere». In Aula insomma sarà un bel Vietnam con l'ala rossa. Ma intanto il più è stato fatto: è scattata la fase 2, incerta fino alla fine. Se non nella mente di Matteo Orfini. Anche il sindaco ha rivendicato: «Li ho scelti tutti io gli assessori, non me li ha imposti il Pd».
Marino ha fatto subito squadra con i nuovi arrivati: Esposito («E' un tipo tosto»), Rossi Doria («Un compagno di viaggio»), Di Liegro («Ha una storia personale simile alla mia») e Causi, nomina controversa e dibattuta nel Pd, («L'uomo che mi ha aiutato nel piano di rientro»). Badando più alle cose da fare per risollevare la Capitale dal degrado sognando le Olimpiadi del 2024, che alle polemiche a distanza con il premier. «Che non esistono», ha detto imperturbabile il primo cittadino.
Per Alfio Marchini, leader dell'opposizione in Campidoglio, «vince la politica dello struzzo che vuole negare la realtà». Giogia Meloni, leader di FdI: «Gli unici romani in Campidoglio sono la Lupa e Marc'Aurelio». Il M5S, con Di Battista, attacca: «C'è Causi, viva la rottamazione». Ma è Sel la vera spina nel fianco, ora. Il cannoneggiamento è partito. Solo che i vendoliani non possono nemmeno dire: non moriremo renziani.
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