Nuovo Senato, il voto tra caos e insulti in aula

Sabato 3 Ottobre 2015
Nuovo Senato, il voto tra caos e insulti in aula
Accidenti a Barani. E ai suoi gestacci sessisti. Come se non bastasse il clima surriscaldato nell'aula del Senato, che ti combina Barani Lucio da Aulla in forze ai verdiniani? Mima sesso orale all'indirizzo di Lezzi Barbara da Lecce, senatrice cinquestelle che al Barani fa vedere le stelle. Se ne accorge, lo indica al pubblico ludibrio, lo inchioda, lo apostrofa, lo denuncia. E la Camera alta per un'ora buona si trasforma in Camera chiusa, o in un remake dell'Ecclesiazuse meglio noto come Le donne in Parlamento di Aristofane.
Intervengono a raffica varie senatrici di tutti i gruppi, «porco maiale» gli urla un'altra cinquestelle, la Taverna. Barani si fa piccolo piccolo, è diventato il bersaglio grosso di giorni e giorni di tensione, i più riflessivi Zanda e Romani, i capigruppo di Pd e FI, lo invitano ad andare dietro la lavagna, a lasciare l'aula, salta su pure il ministro Riccardo Nencini nipote del grande Gastone ciclista e attuale leader socialista e gli intima «togliti quel garofano che porti all'occhiello», vendetta postuma per avere Barani abbandonato il nuovo Psi di cui fu pure segretario. Ridotto a Pierino la peste che deve uscire dall'aula, dopo aver provocato il prolungarsi della seduta col rischio di far saltare votazioni importanti, che ti combina Barani il sessista? Interviene, ahinoi, cerca di scusarsi, ma come si dice fa la toppa peggiore del buco. Spiega (diciamo): «Sono stato equivocato. Ho fatto dei gesti istintivi. Con la mano rivolta contro il mio stesso volto ho dapprima invitato quanti inveivano contro il collega Falanga a ingoiare i fascicoli che agitavano. Poi ho gesticolato a quanti imprecavano contro di me di venirlo a fare presso il mio scranno». Un'autodifesa da ergastolo. Ma tant'è. Barani si autoespelle. Con il presidente Pietro Grasso che promette d'ora innanzi «rigore assoluto», non prima di aver indossato i panni a lui cari dell'investigatore, «faremo gli accertamenti dovuti».
La giornata segnata dal caso Barani non ha mancato comunque di arridere alla maggioranza. Si sono susseguite votazioni, altalenanti ma sempre con buon margine di distacco con l'opposizione. In una è stata toccata l'astronomica cifra di 211 voti, votazione neanche secondaria visto che riguardava la soppressione del famoso comma 5 dell'articolo 2 sull'elezione dei futuri consiglieri-senatori. La quota più bassa è stata di 156 su un emendamento fittiano, sotto soglia 161, ma nessuno si è preoccupato, «assenze fisiologiche», tanto che la forbice con la minoranza è rimasta sempre alta, tra i 40 e i 50 voti. Il clou si è avuto in serata, quando con 160 suffragi contro 116 è stato respinto l'insidioso sub emendamento del solito Calderoli detto delle minoranze linguistiche, «ottima tenuta della maggioranza, 44 voti di scarto», spiegava Tonini del Pd. I pochi voti segreti rimasti non fanno più paura, se mai l'avessero fatta. «E che problema c'è? Nel segreto quelli di FI che vogliono dire sì potranno farlo», chiosava sorridendo Raffaele Ranucci. In FI c'è gran fermento: uscire dall'aula al momento del voto o mischiarsi con gli altri no a rischio di defezioni? Nell'attesa, Villari è sul punto di andarsene e Nitto Palma sarebbe tentato.
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