Greci alle urne: «Comunque una sconfitta»

Domenica 5 Luglio 2015
Greci alle urne: «Comunque una sconfitta»
Le urne sono trasparenti, come una «casa di vetro». Le schede sono tutto sommato semplici: a sinistra un sunto del quesito referendario, a destra le due opzioni. «Non si approva, No»; «Si approva, Sì». Gli ateniesi, nel sabato del silenzio elettorale, sono per lo più al mare. Sulle spiagge proseguono le diatribe, riaffiorano i dubbi, si ingaggiano discussioni per portare dalla propria parte gli incerti. Ma soprattutto ci si abbandona all'indeterminatezza del quesito a cui nessuno sa rispondere: «Che ne sarà di noi dopo il referendum?».
La campagna elettorale è stata fulminea, poco più di una settimana da quando Tsipras, con un colpo di scena che ha lasciato storditi i greci e l'Europa, ha convocato la consultazione. Ma otto giorni sono bastati per infiammare gli animi, per spaccare la Nazione e fare del referendum una questione di vita o di morte, senza alcuna garanzia che la morte – qualunque sia l'esito del voto – sia davvero scongiurata. E forse il motivo di tanta tensione è proprio questo: «Comunque vada il popolo non ci guadagnerà nulla».
Il testo dell'accordo fra Bruxelles e Atene che i greci dovrebbero bocciare o approvare è zeppo di tecnicismi, di cifre che paiono geroglifici, incomprensibile perfino per chi mastica questioni economiche. Nessuno si prende la briga di leggerlo, né di capirlo. L'ha pubblicato il sito del governo (con una traduzione giudicata zoppa), i clic sono stati appena qualche migliaio. «Domenica si farà la storia» sbraitano i leader politici, ma verso la storia i greci – non riuscendo a prevedere il futuro prossimo - ci stanno andando seguendo solo i dettami dell'emotività.
ESAUSTI - La verità è che tutti – quelli del sì e quelli del no – sono esausti. Da sei anni si sentono sotto assedio, incapaci e impossibilitati a governarsi, costretti a dipendere da una classe politica fumosa e dai gelidi diktat della troika. L'autista dell'autobus 95 a cui due turisti americani domandano perché in questi giorni i trasporti siano gratis risponde così: «Merkel». Come se il destino del suo Paese dipendesse da entità che stanno altrove. L'autista di chiama Nikos, dice che voterà sì: «Non per l'Europa, ma per il mio posto di lavoro».
Erifros è a nord, quartiere di piccola borghesia, case dignitose, niente lusso. Attraversarlo è una pena: un negozio su due è abbandonato, sulle vetrine impolverate la stessa scritta: «Endikhiazetai», che vuol dire affittasi. Resistono meccanici, bar, barbieri, alimentari. E resiste Hari, prima vendeva computer ora si limita a ripararli: «In tre anni ho visto solo botteghe chiudere, e nessuna aprire. E voi pensate che una croce su una scheda possa cambiare il corso delle cose?». Lui comunque voterà no, «malgrado quel buffone di Tsipras».
LE CONSEGNE - Dopo l'ora di pranzo i militari consegnano le schede nella scuola primaria di via Lentiuou, lungo il grande viale che dal centro porta al Pireo. L'Esercito ha il compito di recapitare le schede nei quasi ventimila seggi del Paese, un lavoro iniziato all'alba e che al tramonto non è ancora del tutto concluso. Si voterà dalla sette del mattino alle sette del pomeriggio, il governo assicura che dopo due o tre ore al massimo si saprà come è andata, anche se dovesse essere un testa a testa (e i sondaggi dicono all'unanimità che lo sarà).
L'ATTESA - Per conoscere il risultato che più conta bisognerà però aspettare domani, o martedì. Perché quello che tutti vogliono sapere è se l'accordo con Bruxelles si farà comunque, indipendentemente dal prevalere dei sì o dei no, e quanto costerà alla gente normale. Gli esperti si dilungano a disegnare scenari possibili: se vince il sì prevedono la caduta del governo Tsipras, se vince il no si interrogano sulla disponibilità dell'Europa a tenere aperto un dialogo col riottoso «popolo ellenico». Ma nessuno sa dire se riapriranno le banche, se il denaro tornerà a circolare, se potrà riaffiorare una parvenza di normalità. E, soprattutto, che ne sarà di un'emergenza che sembra non finire mai.
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