Borse, la Cina fa paura: -8,5% Lunedì nero per Milano: -3%

Martedì 28 Luglio 2015
Un analista a New York ha reagito con umorismo: «Anche noi del mestiere che siamo abituati agli alti e bassi stiamo soffrendo di mal di mare». Ma in realtà c'era poco da ridere: una perdita dell'8,48% a Shangai è stata seguita da una meno clamorosa ma ben pesante caduta del 3,1% a Hong Kong. La giornata peggiore da oltre otto anni per i mercati cinesi. E subito dopo, a ruota, chiusure in territorio pesantemente negativo in Europa e nubi anche negli Usa, anche se meno buie. Ovviamente, tutto ciò avviene dopo gli alti, anzi altissimi del comparto cinese, seguiti da un drastico crollo a giugno, e una susseguente ripresa guidata dagli interventi del governo. Ieri è apparso evidente che il lavorio di Pechino non può da solo fermare le emorragie nei mercati: la stabilizzazione non sembra essere riuscita, e si teme l'esplosione della bolla. «È una questione politica» ha detto senza peli sulla lingua Richard Haas, direttore a New York del Council On Foreign Relations. Ed Eswar Prasad, professore alla Cornell University, già capo della sezione Cina del Fondo Monetario, suggerisce che la contrazione dei mercati potrebbe spingere il governo a rallentare la marcia verso una economia più basata sul consumo interno che non sull'export. La crisi di lunedì, dopo che nei giorni scorsi il mercato aveva recuperato il 16% del 40% perduto a giugno, è stata generata dai risultati freddini del settore manufatturiero privato, che si sta rivelando lento come non era da almeno un anno e mezzo, con gli utili delle aziende in flessione dello 0,30%. Il dato ha confermato i timori di chi pensa che la crescita cinese potrebbe scendere ulteriormente dall'attuale 7% al 6-6.5%. La perdita sofferta da Shangai ieri era la più grave dal febbraio del 2007, ed ha avuto un inevitabile effetto domino. In Europa l'effetto non è stato rallentato da due notizie positive, la prima è stata nella Germania di Angela Merkel dove l'indice Ifo che misura la fiducia nelle imprese tedesche è salito a 108, nettamente meglio delle previsioni. Buone notizie anche negli Usa, dove gli ordini dei beni durevoli sono anch'essi andati oltre il previsto: invece che l'atteso 3,2% si è registrato un 3,4%. Ma non si trattava di dati macroeconomici di peso tale da arginare lo spauracchio di una contrazione nella seconda economia mondiale, e in Germania l'indice Dax ha perso il 2,3%, in Francia il Cac-40 il 2,2% e nel Regno Unito il Ftse l'1,1%. A casa nostra, Milano ha preso una sventola e ha rasentato il 3% di perdita. Significativamente, c'è stato un calo nei futures del greggio, un dato che può dare conforto a noi italiani, che il petrolio lo dobbiamo comprare, ma che sembra confermare la contrazione cinese: con il rallentamento infatti scende anche a domanda di materie prime, petrolio in testa. Adesso c'è chi si chiede se la Federal Reserve (in alto Janet Yellen, presidente) - che si riunisce oggi per la tradizionale due-giorni - sarà ancora decisa ad aumentare i tassi di riferimento in settembre, come si dava per scontato. Sull'onda dei terremoti cinesi, gli esperti sono ora divisi 50-50, con una metà che oramai pensa che il ritocco non sarà a settembre, ma almeno dicembre.

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