Blatter vince anche gli scandali

Sabato 30 Maggio 2015
Blatter vince anche gli scandali
Il calcio mondiale non ha avuto il coraggio di cambiare. E, così, le elezioni presidenziali della Fifa l'ha vinte per la quinta volta in serie Joseph Blatter, del tutto incurante degli scandali e, più in generale, della marea di fango che ormai si è bevuta la credibilità della federazione. L'opposizione del principe giordano Ali bin Al Hussein è evaporata presto: tanto che non sono servite neppure due votazioni per confermare il colonnello svizzero. Perché, alla chiusura della prima, Al Hussein è salito sul palco dell'Hallenstadion di Zurigo e ha spiegato di volersi ritirare dalla corsa. Impossibile vincere, del resto, se è vero che nel primo scrutinio Blatter aveva perfino sfiorato il traguardo qualificante dei 2/3 dei voti, acciuffandone 133 e lasciandone appena 73 al rivale. Insomma, cifre alla mano, Blatter aveva mancato l'elezione immediata per soli sette voti sui 209 disponibili, divenuti per la verità 206 alla verifica della validità. Uno scenario non ribaltabile.
Ha trionfato ancora il gattopardismo di Blatter. E di certo continueranno a trionfare le opacità, gli abusi, le ruberie, i passaggi a vuoto del diritto. È stato così finora: perché dovrebbe cambiare? Sepp dominerà l'Onu del calcio fino al 2019, fino all'età di 83 anni. Incrollabile, irridente, non smetterà di esibire il suo andare, foderato di un'arroganza che non conosce dubbi e, anzi, si pretende intoccabile. Per una notte Michel Platini, il capo della Uefa, si è speso allo stremo per promuovere Al Hussein, ma non è riuscito a canalizzare un numero sufficiente di preferenze. A ben vedere, però, 73 voti non sono un'inezia, considerando che la Uefa ne poteva esprimere al massimo 53. E non va dimenticato che la Russia, la Spagna, perfino la Francia, oltre che l'Africa, l'Asia e l'America in blocco, hanno tutti appoggiato Blatter. Quanto all'Italia, almeno ufficialmente il presidente federale Carlo Tavecchio si è uniformato alle indicazioni di Platini. «Sono orgoglioso della Uefa», ha sussurrato Michel. Il voto però era segreto: e chissà. Al di là dei proclami, a Zurigo è affiorata una realtà ben più eloquente: il pianeta del pallone era chiamato (se non obbligato) a spedire un segnale vivace e, invece, giusto il 35% degli elettori ha avuto la forza d'animo di provare a lavorare nell'orizzonte del rinnovamento. Fedele al suo modo di abitare il calcio, Blatter è riuscito nell'acrobazia di passare una mano di stucco sulle crepe che si erano allargate lungo i contorni della propria immagine. D'altronde aveva allestito una base di elettori tanto solida quanto cieca: ed è chiaro che molti abbiano avuto paura delle possibili ripercussioni, come tanti si siano sdebitati delle attenzioni ricevute. L'apice dell'attrito tra l'attualità e il «modus operandi» di Blatter lo si è raggiunto, abissale, nel momento della rielezione. Parole vuote, sintassi incerta, qualche risatina, un discorsetto da insulto all'intelligenza degli appassionati. «Grazie. Sapete, mi piace il mio lavoro, ma non sono perfetto. Non toccheremo i Mondiali. Dio ci aiuterà a riportare in auge la Fifa. Tra quattro anni lascerò. Let's go Fifa!». Segnata addirittura da un allarme bomba, la giornata ha vissuto l'istante più alto nel minuto di silenzio dedicato alle vittime dell'Heysel. Un minuto, a toccare il cuore.
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