Chiesa-moschea, il Patriarcato:
«Grande forzatura anche per l'Islam»

Martedì 12 Maggio 2015
Chiesa-moschea, il Patriarcato: «Grande forzatura anche per l'Islam»
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VENEZIA - La realizzazione artistica nella chiesa di Santa Maria della Misericordia a Venezia, trasformata in moschea dall'installazione dell'artista islandese Christoph Buchel alla 56/a Biennale di Venezia, «appare come una grande forzatura ed una sostanziale strumentalizzazione di tutti i soggetti coinvolti, compresa in primo luogo la comunità musulmana». Lo sostiene don Gianmatteo Caputo, architetto e delegato patriarcale per i Beni culturali ecclesiastici.

La comunità musulmana, sottolinea, «pur partendo da una richiesta legittima, l'esigenza di una moschea a Venezia, si vede offerto un luogo che viene occupato in modo non regolare, per finalità 'seconde', ovvero artistiche, e aggirando di fatto questioni che, invece, sono serie e rilevanti».

«Nella vicenda si sono confusi e superficialmente mescolati due ambiti ben distinti per la loro serietà e complessità». Per il Patriarcato, «pare logico che la stessa comunità musulmana prenda le distanze da questa provocazione, rilanciando la richiesta di un suo spazio per la preghiera che sia adeguato, dignitoso e riconosciuto da tutta intera la comunità civile. L'opera senza la preghiera svuota quel luogo del suo significato artistico e vale ben poco o nulla, perché manca di vita».

Proprio per la volontà di non intrecciare in modo ambiguo i due aspetti, sottolinea don Caputo, la richiesta avanzata dall'artista, all'inizio dell'anno, di ottenere la concessione di una chiesa per la sua 'idea' artistica, «aveva ricevuto una prudente risposta negativa. Era, infatti, evidente quanto fossero delicate le implicazioni di una simile installazione che mirava a riprodurre una vera e propria moschea all'interno di una chiesa». Innanzi tutto, si domanda Caputo, perché in una chiesa? «Non mancano a Venezia spazi architettonici in disuso, che non avrebbero urtato la sensibilità di alcuni - precisa - e avrebbero aperto ad un maggior desiderio di integrazione». Già nel mese di febbraio, ricorda, «si era sottolineato che, per rispetto profondo verso i credenti, verso la città e tutti i soggetti interessati, bisognava tenere in considerazione (e non tralasciare) il fatto che un'installazione del genere avrebbe avuto implicazioni culturali, religiose e di vita pubblica che non avrebbero potuto essere risolte solo nel rapporto fra chi dispone di uno spazio e i realizzatori della proposta artistica». Era necessario un più ampio e reale coinvolgimento della città ed in particolare delle comunità religiose interessate. Dato che era stata espressamente richiesta una chiesa, precisa ancora don Caputo, «in quell'occasione era stato indicato anche che un simile spazio, per il suo alto valore simbolico e artistico, non era adeguato alle finalità della richiesta», insieme al suggerimento «di rinviare la realizzazione del progetto alla Biennale di Architettura, per discutere il problema del riuso urbano di parti della città».

Il Patriarcato precisa che «mai nessun membro della comunità musulmana è stato coinvolto dall'artista nei contatti con il Patriarcato per tale proposta espositiva ed anche questo aspetto è risultato non positivo e non opportuno». La richiesta di una moschea in città, insomma, «è questione importante e che va affrontata, ma con metodi e modi ben diversi e più fondati. Nel rispetto autentico di tutti». Per don Caputo, infine, «bisogna uscire decisamente dalla provocazione artistica, che ormai non è più solo tale, e cominciare ad affrontare le questioni serie nella loro singolarità e nella chiara distinzione dei piani».

Lo stesso consolato islandese in Italia sta verificando i permessi e le informative dell'artista "galeotto". Il caso pare tuttaltro che chiuso.

Ultimo aggiornamento: 21:13

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