Dalle Vanuatu al Lido, ecco le tribù
senza veli (anche fra gli spettatori)

Lunedì 24 Agosto 2015 di Adriano De Grandis
Dalle Vanuatu al Lido, ecco le tribù senza veli (anche fra gli spettatori)
VENEZIA - È un film che viene da molto lontano, da un arcipelago, le Vanuatu, (quasi) sconosciuto. Un film etnografico, perché non potrebbe comunque non esserlo, antropologico, ma che non vira nel documentario, anche se i due registi australiani hanno esperienze in tal senso. C’è una storia, una sorta di Romeo e Giulietta, per capire come poi le distanze si accorcino. Tra noi e loro.



“Tanna” sarà a Venezia nella Settimana della Critica, il laboratorio del cinema del futuro, curato dal Sindacato critici da 30 anni. E oltre a farci scoprire due cineasti curiosi e singolari, farà conoscere anche altri mondi, altre umanità. “Tanna”, titolo del film, è una delle isole Vanuatu, dove Wawa, una giovane del villaggio Yakel si innamora di Dain, nipote del capo tribù locale. Ma lo scontro con una tribù rivale porta il villaggio a offrire Wawa in sposa, come “scambio” per la pace. I due giovani allora fuggono, cercando di evitare di essere catturati e uccisi dai guerrieri, ma dovranno scegliendo tra le ragioni del cuore e il futuro della tribù che cerca di salvaguardare la cultura tradizionale.



Bentley Dean e Martin Butler sono due documentaristi affermati. E “Tanna” è il loro primo film di finzione. Per girarlo hanno ovviamente convissuto a lungo nei luoghi del set, adeguandosi agli usi e ai ritmi del villaggio, conoscendo il “kastom” che è il nome con il quale viene indicata la loro cultura, la loro struttura sociale. Spiegano i due registi: «Per sette mesi siamo rimasti là, dividendo il loro cibo, vestendo gli stessi “abiti” (praticamente inesistenti: solo una copertura di paglia a nascondere il sesso, chiamata nambas), ascoltando le loro storie e le loro canzoni. Proprio una di queste canzoni narrava la storia che poi sarebbe diventata il nostro film, che è una storia comune a tutto il mondo. Sicuramente è stata una delle nostre esperienze più forti, come cineasti ma anche come uomini, aprendoci a un mondo che sta scomparendo a una velocità rilevante».



Un’esperienza totale, visto che anche i figli di Bentley si sono mescolati ai coetanei locali, giocando e imparando la loro lingua. Una quotidianità vissuta all’ombra di Yahul, il grande vulcano che sovrasta l’isola, vittima di forti terremoti.

L’idea di realizzare questo film è partita molto tempo fa: «Nel 2004 – dice Bentley - venni a conoscenza di questa isola e ho cominciato a pensare a quale fosse il modo migliore per visitarla. E fare un film mi sembrò la cosa migliore. Due anni fa ne parlai a Martin e insieme abbiamo intrapreso quest’avventura. Mostrammo loro un film, per fargli capire cosa volevamo fare. Non avevano mai visto un film, ma la prima cosa che ci chiesero fu: cominciamo domani?».



La scelta del cast e i giorni di lavorazione sono stati particolari: «Sì – racconta Martin – ognuno ha cercato di portare la propria esperienza. Il protagonista maschile fu scelto a furor di popolo, perché il più bello, ma era imbarazzato a girare scene affettuose in pubblico, tabù della loro cultura. Ma ce l’abbiamo fatta. Più faticoso è stato scegliere la ragazza. Abbiamo girato improvvisando giorno dopo giorno, lasciando molto alla loro spontaneità, specie nelle scene più rituali. Era l’unico modo per poter lavorare assieme. Abbiamo iniziato a girare a marzo dell’anno scorso e alla fine è stata un’esperienza di insegnamento per noi e anche per loro».



Ora a Venezia sono annunciati alcuni rappresentati dell’isola, protagonisti del film. Il problema che potrebbe sorgere è che vogliono presenziare, in sala, con i loro costumi, quindi, come detto, praticamente nudi. Non passeranno inosservati.
Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 08:12

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