Choc a Treviso: esce dall'ospedale e in
casa di riposo la trovano coperta di vermi

Giovedì 1 Aprile 2010 di Laura Simeoni
(foto di archivio)
TREVISO (1 aprile) - Quando l'anziana entra in barella nella casa di riposo, gli operatori non credono ai propri occhi. Immaginano si tratti di un'allucinazione. Solo la puzza tremenda in grado di riportarli alla realt. La donna che si trovano di fronte ha 80 anni, un groviglio di capelli arruffati, pieni di insetti e di vermi. Le unghie dei piedi sono lunghe, ritorte. La pelle rovinata e sudicia, le dita piene di pus. Per darle una parvenza umana è necessario sottoporla a un bagno estenuante, che dura quasi tre ore. Il fatto è accaduto a Treviso, in una struttura dell'Israa, martedì 23 marzo, ma è emerso soltanto ora perché alcuni testimoni hanno deciso di infrangere il muro di silenzio, portando alla luce una vicenda che ha dell'incredibile, pur con i precedenti denunciati qualche tempo fa dal Gazzettino. Nel raccontarlo tuteliamo la privacy della protagonista e dei testimoni. I dettagli sono documentati da un rapporto contenente la cronistoria degli eventi e le valutazioni mediche.



L'anziana viveva in un Comune vicino al capoluogo, Quinto, da sola, nell'appartamento che fino a tre anni fa condivideva con la figlia, morta per grave malattia. Ed è qui che comincia il degrado, provocato da un mix di dolore per la perdita, depressione, principi di demenza senile ma soprattutto da una abissale solitudine, nonostante avesse un amministratore di sostegno: il compagno della figlia. L'anziana si chiude in casa, le sue condizioni peggiorano, si ammala di tumore all'intestino e pare che nessuno riesca ad aiutarla, neppure le assistenti sociali. Finché arriva il ricovero in ospedale e il successivo trasferimento alla casa di riposo.



Ma com'è possibile arrivare a tanto? Può una donna che per 30 anni ha fatto la sarta e ha lavorato in una tabaccheria, curando sempre il proprio aspetto e la dignità, essere abbandonata a tal punto da far inorridire chi se la ritrova di fronte?



Nella lettera di dimissioni dall'ospedale - la clinica Giovanni XXIII di Monastier, una delle strutture dell'Usl 9 - si cita soltanto un generale “decadimento psico-organico”, oltre al carcinoma. Ben più dettagliate le note della casa di riposo in cui si dichiara che la donna "da diversi mesi non veniva lavata". La capigliatura era “un groviglio di sporcizia e mollette arrugginite, all'interno del quale erano presenti insetti di varie dimensioni”. Il referto del medico parla di “cheratosi seborroica al cuoio capelluto con parassiti”. La povera signora non riusciva più a camminare perché i suoi piedi, affetti da “onicomicosi” a causa delle unghie mostruosamente lunghe e contorte, erano ricoperti di funghi e di pus. E poi c'è quella dentiera, mai tolta né lavata, talmente inglobata nella gengiva da richiedere l'intervento chirurgico del dentista. Per chi l'ha vista non esiste altro aggettivo: raccapricciante.



Dopo tre giorni dall'ingresso in casa di riposo l'anziana donna è migliorata già sensibilmente, anche nella sfera mentale. Le sue condizioni sono definite di “demenza moderata”. Ciò che ci si domanda di fronte a una storia così drammatica è: chi poteva o doveva intervenire e non l'ha fatto? Può la cosiddetta “libertà individuale” della persona di rifiutare cure e assistenza degenerare in un tale degrado? Quale strada intraprendere nell'assistenza domiciliare e ospedaliera? È improbabile che una persona sia arrivata all'Israa con i vermi nei capelli dopo un ricovero di 8 giorni in ospedale senza che nessuno se ne sia accorto.
Ultimo aggiornamento: 12 Aprile, 18:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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